Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

CRITICA SOCIALE 359 sioni nostalgiche irrevocabilmente superate, a pessi- mismi deprimenti, con tutto il resto; a noi preme di- mostrare la continuità e la coerenza del nostro pen- siero, della nostra azione politica. Nel che, assieme e al disopra di una difesa personale, vi è la difesa della serietà di una dottrina e di un metodo. I quali né Tripoli, nè il ministerialismo a vita di alcuni so- cialisti, per enorme jetture che rechino, non seppel- liranno per sempre. _Militiamo dunque — se non un presente — un av- venire, un ritorno dell'azione nostra, più o meno prossimo, da salvaguardare. E, a tal fine, importa stabilire come non noi abbiamo mutato; come nulla, nell'azione nostra passata, nell'azione riformiate quale fu intesa, propugnata, svolta da noi, repugna al nostro atteggiamento presente. Bensì repugnereb- be, a tutto quel passato, un atteggiamento diverso. Il nostro riformismo non fu mai dedizione; il no- stro ministerialismo non fu mai ripudio della lotta di classe proletaria. Esso fu cordiale e fidente nel periodo della conquista delle libertà operaie, che il Governo dell'on. Giolitti effettivamente aiutò. Allora fumino aspri coi nostri, che non intendevano la ne- cessità assoluta, il dovere tattico e morale, di un atteggiamento risolutamente convergente alla poli- tica interna ministeriale, a costo di affrontare l'im- popolarità ed il dileggio. Superato quel periodo — che l'immaturità delle masse operaie e del nostro stesso Partito non seppe prolungare e sfruttare quanto si doveva — il nostro ministerialismo si fece diffidente e vigile; spesso lo subimmo dissenzienti, per dovere di disciplina. Ma, da parecchi anni oramai, era chiaro per noi — come per moltissimi amici, pure confessatamente e decisamente riformisti — che il terreno era pieno di insidie, e che ci conveniva svincolarci da ogni compromesso col potere e coi partiti borghesi. Nel Gruppo parlamentare, da anni oramai, la divisione era latente ma irrecusabile. Sopratutto essa si accentuava di fronte a un argomento che, a senso nostro, é assolutamente 'tipico e decisivo, come pie- tra di paragone delle tendenze e dei partiti: allu- diamo agli incrementi delle spese per l'esercito e per la marina.. Si può, su infiniti altri argomenti, dissentire pro- fondamente — pur rimanendo socialisti. Non si può su questo. Perchè qui è veramente un punto di inter- sezione, nel quale gli interessi cozzano, i partiti si dividono, e la lotta delle classi si caratterizza e si denuda. La acquiescenza, tacita od espressa, fatta da tanta parte del Partito e del Gruppo parlamen- tare socialista italiano, di fronte al continuo au- mento delle spese di guerra, è stato il primo segno, ma il più univoco e certo, del dileguarsi dell'anima socialista, in uomini ed in Gruppi, che del sociali- smo conservavano l'etichetta, la vernice, ,il gergo superficiale. Certo, allorquando il Governo proponeva quegli aumenti — spesso presentandoli in forma larvata ed ipocrita — non era possibile prevedere lo sbarco di Tripoli. Solo oggi, dopo il fatto, è dato a noi, con- nettendo ed inducendo, arguire, nei Ministeri che si succedettero, la premeditazione concreta di cotesta imprese. Ma ciò che si intuiva — che si doveva intuire — ciò contro cui era necessario reagire, colla massima concordia ed energia, in Parlamento e fra le masse — era la preparazione militare generica. La quale — al di là di una certa proporzione — dete le condi- zioni economiche del nostro paese — da un lato, rendeva impossibili le riforme sociali, anche le più modeste — di qui il marasma governativo e legisla- tivo, in fatto dì servizi pubblici e di provvedimenti a tutela del lavoro, nell'ultimo quinquennio — dal- l'altro, conteneva come implicita la guerra futura. Gli organi, sopratutto se assoggettati a un regime eccitante, di iperalinientazione, esigono la loro fun- zione. E perciò che alla Camera noi non ci peritammo di oppugnare — pur sapendo che avremmo incontralo taccia di nemici del progresso tecnico della difesa della patria — persino i milioni devoluti all'aviazione militare. Non combattemmo già quell'impiego di fondi, come piacque alla buona fede avversaria dar a credere, ma chiedemmo che quei fondi si cercas- sero dentro, e non al di là, dei limiti del bilancio militare consolidato. Ma fu — allora come altre volte — voce nel de- serto. Assorbito dalle spese di guerra quasi un terzo del bilancio, ipotecata e accantonata per le spese di guerra tanta parte degli avanzi, ogni promessa di una politica di riforme e di civiltà diventava una tri- sta canzonatura. Il ministerialismo, il collaborazio- nismo diventavano una truffa ed una ingenuità. E l'ingenuità e la truffa apparivano tanto più mador- nali (lacchè la democrazia parlamentare ebbe— su cotesto argomento — abbandonato ogni spirito di opposizione e di protesta, soliclarizzandosi m fatto, interamente, col nichilismo. governativo. " Ma pazienza il nichilismo! — (così, alla Camera, chi scrive queste linee, nella discussione sul caro-viveri, il 2 febbraio di quest'anno) V'è ben di peggio. Ed è che l'Estrema Sinistra, salendo al Governo, si assume un altro incarico ben più importante: quello di agevo- lare gli aumenti eccezionali, vertiginosi, delle spese militari; di fungere da dolce liquore sull'orlo di questo amaro vaso, amarissimo pel contribuente e pei lavo- ratori. Così fu — proseguivamo — che il mio amicg, on. Sacchi, entrò nella Commissione d'inchiesta sul- l'esercito e rimane ora su quel banco, mentre si mi- nacciano aggravi di spese di guerra, che noi, urlateci pure, continueremo a proclamare assolutamente pazze- sche, disastrose, antipatriottiche nel modo il più asso - luto, il più reciso.- LUZZATTI: presidente del Consiglio, Ministro del- l'Interno. — Antipatriottiche è tróppo! TURATI e i cui danni saranno gravemente espiati. Tutto questo, s'intende, per la patria, che è superiore alle lotte delle classi..., che tutti vogliamo incolume i. E per questo ché le prepariamo il disastro! Ma tutto questo significa anche un'altra cosa: la li- quidazione, qui dentro almeno, di quella che fu già la democrazia; di ogni residuo, lo dico col più vivo ram- marico, di democrazia parlamentare...... E lumeggiavamo la lotta dei due sindacalismi — operaio e borghese — la lotta delle classi rivoluzio- narie, sempre più voluto dal Parlamento e dal Go- verno — sempre più indeprecabile. Onesto il ritornello della nostra eterna canzone. Della quale una strofa è nel discorso, da noi anche pronunciato alla Camera, allorquando furon chiesti e ottenuti, son due anni e mezzo oramai, i maggiori aumenti militari. Quel discorso un editore socialista popolare, Ar- turo Frizzi di Mantova, aveva già diffuso largamen- te, in opuscolo. Ma due anni e mezzo, nella nostra epoca, versano l'oblio su beni altro che sopra un mo- desto discorso parlamentare. Lo ci produciamo, qui di seguito, perché giudichi il lettore se è vero che la nostra voce di oggi scon- fessi e rinneghi — come si pretende — la nostra voce di allora; se i nostri « possimismi deprimenti» siano una bizzarra novità, portataci nel cervello dal vento che soffia dal deserto africano. Noi.

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