Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

378 CRITICA SOCIALE Per chi aspira all'immortalità — non solo nel senso metaforico della parola — la filosofia dell'israelita Bergson non potrebbe essere più ottimistica. Il tra- dizionale pessimismo ebraico scompare; l'uomo potrà cantare é celebrare tutte le vittorie, e un giorno la sua fronte si ricingerà d'un'aureola divina. Essere immortali, quale sogno dorato e superbo! Peccato che non possiamo attardarci molto in que- sto sogno! Ecco che il dubbio s'avanza, sotto le for- me amletiane e dinoccolate di Arturo Balfour. L'ex- ministro inglese, che è una delle menti più dialetti- che e più critiche che oggi esistano, dopo avere ge- nialmente esposta a suo modo la teoria bergsoniana, la sottopone a una minuta disamina, che non pos- siamo seguire nei particolari, ma che culmina nella serie di questi spinosi punti interrogativi: perchè la coscienza, che, per definizione, è libertà, deve porsi all'opera per permeare colla contingenza la stessa materia? perché deve permettere a se stessa di frantumarsi, colla materia, in indefinite individua- lità? Perché si è impegnata in quella lunga e dub- biosa lotta tra libertà e necessità, che noi chiamia- mo evoluzione organica? Perché l'istinto è massi- mo dove la libertà è minima, e l'uomo, che è il più libero di tutti gli animali, gode specialmente nell'e- sercizio della ragione? Come supporre che la vita esistesse prima del suo umile cominciamento sulla terra? Si. può ammettere una super-coscienza? Nel caso affermativo, non è meglio invocare addirittura Dio? schematicamente riassunte, le obiezioni che il Balfour muove al Bergson. A queste molte altre se ne potrebbero aggiungere, ma tutte non trovereb- bero il loro fulcro che nel vero punto oscuro e caput tnortuurn del bergsonismo, così come oggi esiste: in che cosa consiste questo miracoloso élan vita!, che tutto crea e produce? Da che deriva? È il demiurgo di Platone, la cosa in sé di Kant, o l'iri- conoseibile di Spencer? Speriamo che il Bergson riesca in seguito a illu- minarci su questa, che è la vera base della sua ar- dita metafisica. e. in, *** • n diritto internazionale nell'accordo marocchino. L'accordo franco-germanico del 4 novembre chiude un laborioso duello diplomatico. La Germania, se- condo Max Schippel (Sazialistische Monalshefte, 23 novembre), vi ottenne quanto, pacificamente, le era oggi possibile. La questione non era semplice. Dac- cne il capitalismo si gettò sui paesi coloniali per co- struirvi ferrovie, sfruttarvi terre e miniere, mono- polizzarvi la produzione e il traffico, le formule dei vecchi trattati — porta aperta, parità di trattamento, libera concorrenza, ecc. — rispecchianti il tempo in cui tutto si riduceva alla importazione ed esportazione reciproca fra gli Stati europei, non bastano più. L'ac- cordo infatti — dopo gli atti di Algesiras — non si limita a guarentire uguaglianza di trattamento di fronte alla dogana, alle tasse, alle tariffe dei tras- porti, ai pesi e alle misure, ma guarentisce altresì uguaglianza di condizioni agli Stati negli appalti per costruzioni di strade, ferrovie, porti, nell'esercizio delle miniere, e così di seguito, rimettendo le even- tuali divergenze a giudizi arbitrali, giusta la Conven- zione dell'Aia. Se, in omaggio all'esistente e all'ine- vitabile, la Francia vi ha i bocconi più grossi, vi, ha anche le responsabilità più gravi, e l'attività econo- mica tedesca potrà esplicarsi assai meglio che nella precedente anarchia marocchina. In complesso, il di- ritto internazionale ha segnato un progresso evi- dente e notevolissimo. ir** Lo Stato socialista. Per dannato che sia il mestiere del profeta, esso tenta sempre qualcuno. Il fabiano James R. Barr ('file Socialist Review) rovescia la previsione spen- ceriana di uno Stato socialista in cui una burocrazia mastodontica ed onnipotente incepperebbe ogni li- bertà individuale. Al contrario, egli imagina un'Am- ministrazione decentrata, che guarentirebbe a cia- scuno il massimo di libertà compatibile colla solida- rietà civile. Lo Stato impedirebbe ai pochi di disporre, come oggi avviene, della vita dei più, eser- citerebbe direttamente le grandi produzioni fonda- mentali (terreni, miniere, acque, trasporti, lavori pubblici, finanza, ecc.) e sopprimerebbe gli enormi sperperi di energia prodotti dalla concorrenza, la di- soccupazione, l'ozio, il lavoro improduttivo, il parassi- tismo degli intermediari superflui, ecc., dal che, e dal perfezionamento sempre maggiore dei mezzi di produzione, il tempo di lavoro necessario verrebbe assai ridotto. Ma le statizzazioni, essenzialmente de- mocratiche, a base di suffragio universale, incorag- gerebbero, anziché attraversare, la tendenza delle organizzazioni economiche a determinare da sè le condizioni del proprio lavoro. L'iniziativa privata so- pravviverebbe in molti campi, e la vita di ciascuno godrebbe di una libertà di seguire i gusti e le ten- denze personali, la (male oggi, pel maggior numero, è semplicemente un'utopia. Che faremo dei " trusts Questo si domanda Robert J. Wheeler, nella In- ternational Socialist Reuiew di agosto. Roosevelt ri- spondeva che bisogna disciplinarli. Un'altissima Corte americana— composta di fedeli servitori dei frusta— li distinse in buoni e cattivi, e condannò le prevari- cazioni della Standard Od e del trust del tabacco. Altri li vorrebbe sciolti, in omaggio alla libera con- correnza, la quale, viceversa, sbocca naturalmente nel monopolio. Il trust è la macchina finanziaria, che to- glie il lavoro ai piccoli uomini d'affari, i quali perciò le si rivoltano, come già gli operai luddisti si rivol- tavano alla macchina di metallo, che li gettava sul lastrico. Ma, a una Commissione d'inchiesta « demo- cratica, Gary, gran trustista dell'acciaio, rispondeva proclamando i fruste necessari e provvidenziali e sfi- dando lo Stato ad impossessarsene. I trustisti ne ricaverebbero un magnifico indennizzo, senza le pre- occupazioni che attualmente li affannano, e gli ope- rai, passando da un padrone privato a un padrone armato della polizia e dell'esercito, perderebbero nel cambio. Pei socialisti la soluzione è altra. L'organizzazione operaia, conquistando il potere politico, si impadro- nirà anche dei fruste; i Suoi tecnici regoleranno la produzione e la distribuzione dei prodotti. Si avranno dei fruste tutti i vantaggi economici, senza i danni della speculazione. *** Socialismo e nazionalità. I socialisti czechi si sono scissi in partito czeco- slavo separatista, che intende difendere i propri ca- ratteri nazionali minacciati dai socialisti austro-tede- schi, e in partito czeco-centralista, ligio all'unità. Otto Bauer (Der Kampf, novembre) non se ne scandalizza: l'unita è necessaria nella lotta economica — e i la- voratori non potranno settrarvisi — non nella lotta politica. Non è una novità che più partiti socialisti sussistano, combattendosi sul terreno politico, nella stessa nazione. In Inghilterra e in Polonia, ve n'ha tre; negli Stati Uniti, in Olanda, in Russia, in Bul- garia, due, riconosciuti dall'Internazionale. Anche gli Czechi possono permettersi un tal lusso. Certo, converrà dare una nuova base ai rapporti dei compagni tedeschi con quelli delle altre nazionalità: italiani, slavi meridionali, polacchi, ruteni. Più pros- simi ai tedeschi sono gli italiani, massime i triestini, che seppero rapidamente liquidare tanto le tendenze nazionaliste di Pagnini, quanto le sindacaliste di Barni. Più staccati, per la prevalenza di masse agri- cole, di artigiani, ferrovieri, impiegati, intellettuali, più soggetti ad influssi ideologici, sono i Polacchi, memori delle ardenti lotte per l'indipendenza; i Ru- teni, sognanti un'Ukrania, non assorbita dal grande conglomeramento russo; gli Slavi meridionali, vagheg- gianti l'unità linguistica nazionale e statale delle genti che hanno stanza fra le Alpi Carniche e il Mar Nero, ora divise in quattro lingue, tre religioni e sette Stati. Utopia è il blocco compatto di tutti questi sociali- smi. Il partito può unificare soltanto quanto è real-

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