Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

372 CRITICA SOCIALE rione o. Lui, l'Einaudi, non esenterebbe che i redditi sotto le 1200 lire, perché altrimenti resterebbero fuori molti appartenenti alle classi medie, piccole bor- ghesi, nazionaliste, ed anche all'artigianato operaio scelto cittadino, che alla impresa si dimostrano fa- vorevoli, e giustamente dovrebbero pagare, sia pure in proporzioni leggermente minori di quelli che stan- no più in alto nella scala sociale. Sarebbero da esen- tarsi solo i redditi piccoli, che in Italia vanno fino alle 1200 lire, e che comprendono, insieme ad una parte degli operai, tutto il ceto campagnuolo, brac- cianti, coloni, mezzadri, piccoli proprietari, il quale è rimastrq completamente estraneo a questo movi- mento ideale e che contribuisce già moltissimo, nella misura delle proprie forze, fornendo soldati all'eser- cito a. L'autore, normalmente e non molto tenero delle im- poste progressive e di simili strumenti predatori di classe », ritiene, nel caso presente, « essere stretta giustizia che l'imposta sia pagata soltanto da coloro che hanno voluto l'impresa e che, poicha la vollero, è giuoco/orzo ammettere che siano disposti a contri- buire coi beni e colle persone. Se fosse possibile di discernere, nel complesso dei cittadini, i nazionalisti dagli altri, sarebbe logico mettere sovra di essi un supplemento particolari di imposta, a compensazione del vantaggio spirituale particolare che essi traggono dal raggiungimento del loro ideale ». « Come pure, se fosse possibile discernere, nel com- plesso di tutte le imprese italiane, quelle che, tempo- raneamente o permanentemente, ritrarranno un parti- colare vantaggio dall'impresa tripolina, bisognereb- be discutere, con fondamento di ragione, dell'oppor- tunità di colpirle, oltrechè con la imposta generale gravante su tutti, con un contributo speciale, corri- spondente a questo vantaggio particolare ottenuto da esse soltanto, in occasione di un'opera di interesse generale n. Naturalmente la cosa non è possibile, e occorre li- mitarsi a porre come caposaldo che l'imposta non debba toccare i redditi minimi nè gravare più special- mente sulle classi industriali e commerciali, « non essendo stati l'industria e il commercio, ma piuttosto le classi professionali, intellettuali, borghesi a volere la spedizione, ed essendo quindi esse Moralmente te- nute a pagarne, a paro delle altre, le spese a. Con ciò l'autore non intende negare che possa esser opportuno di ricorrere al prestito. Ma, se le previsioni .del Governo riusciranno fondate, non sarà necessario mettere alcuna imposta nuova e neppure di far de- biti. Basteranno gli avanzi di bilancio. Tutt'al più, verranno meno gli avanzi; ma l'autore non se ne ram- marica troppo. e L'avanzo di bilancio era divenuto invero una iettatura, come il colera, i socialisti, la stampa gialla, la colonizzazione interna, i premi alla marina mercantile, gli scioperi del Ravennate, i side- rurgici, il monopolio assicurativo, ecc. Forse abbiamo trovato nella Tripolitania — afferma con compiacenza l'Einaudi — il corno portafortuna, che farà scompa- rire ogni avanzo e ristabilirà l'ideale del perfetto pa- reggio, senza avanzi e senza disavanzi», Dopo questa, che a noi pare — anche se questo non era nelle intenzioni dell'autore — la più feroce ed iro- nica requisitoria contro la spedizione tripolina e contro la balordaggine fatua del nostro nazionalismo, che deve fare tanto di bocca a sentire che un nazio- nalista ha il coraggio di sostenere questa enorme eresia: esser giusto mettere il costo della spedizione a carico di coloro che l'han voluta, non esclusi quegli operai che si son dimostrati favorevoli I; il lettore si domanderà, con ragione, per quali motivi l'Einaudi è favorevole a questa avventura, per ora e forse per l'avvenire antieconomica, dovuta sopratutto, secondo lui, agli intellettuali e alla burocrazia e non già alle classi industriali e commerciali; dovuta, cioè, preva- lentemente alle classi improduttive e parassitarie. I motivi del suo tripolinismo l'Einaudi li espone molto chiaramente. « La Tripolitania, intanto, ha già arrecato qualche beneficio. Certo si respira in Italia un'aria diversa da quella di prima. Avversari, tepidi amici ed entusiasti delle colonie, tutti dobbiamo riconoscere che si vive in un ambiente diverso da quando si discuteva se avesse ragione il Governo ad affermare che le Com- pagnie sfruttano gli assicurati, o le Compagnie a la- mentarsi di. essere espropriate ingiustamente dal Go- verno. Il monopolio passerà. Non importa nulla. Sarà l'ultimo triste bagliore di un mondo morto. Allora si discorreva di piccoli mezzucci di Governo, di piccole offe gettate in bocca ad un partito politico per com- perarne il silenzio, a rischio di introdurre nella so- cietà un virus dissolvente dell'iniziativa individuale. Adesso, invece, ci troviamo di fronte ad un'azione soli- dale di tutti per un'impresa di civiltà ». A. che fare commenti, quando le cose sono dette così chiaramente? Ciò non toglie che l'Einaudi chiuda il suo tanto interessante articolo ripetendo che i il compenso nostro deve essere tutto morale; deve con- sistere nel compiere il nostro dovere di suscitatori di energie nascoste di popoli primitivi, e di apparec- chiatori della grandezza politica, se non della ric- chezza, dei nostri nepoti. I popoli grandi sono quelli che, consapevoli, si sacrificano per le generazioni venture ! t, In moneta povera: economicamente l'av- ventura è, fOrse, un disastro; politicamente è, per i reazionari, un ottimo affare; si spera che i nostri ne- poti, che pagheranno salata l'impresa, avranno il con- forto tutto morale di non avere avanzi-iettatura e di avere invece un buon Governo Militaresco. E se non l'avessero? p. I. Ai prossimi numeri: Anime in tonaca, del pro!. ENRICO CARRARA. L'anima e l'evoluzione secondo Bergson, dell'avvo- cato ETTORE MARCHIOLI. Il Movimento internazionale, del prof. GIOVANNI MERLONI. n1111111 MMOMM LA BELLA MORTE PAOLO LAFARGUE e LAURA MARX. Fu domenica 26 novembre che Paolo Lafargue e Laura, sua devota compagna e collaboratrice, la se- conda figlia di Marx, spegnevano in se stessi la vita, serenamente, senza strepito, nel medesimo istante, col medesimo spediente — una lieve « puntura» di acido cianidrico, — nella loro casetta di Draveil, vicino a Parigi. Dopo 45 anni di convivenza fedele — la sola vera, la sola umana, che è comunioni, sopratutto, di intelletti, di lavoro, di lotte — discendevano insieme (come scrisse Marcello Sembat) dal treno della vita, che ci porta tutti, gridandoci: «Buona sera, camerati! Eccoci arrivati, noi altri; noi discendiamo! » Così — semplicissimamente. Egli avrebbe compiuto i settant'anni il 15 gennaio; ella stava sui sessantasei. Forti, operosi, affettuosi, gioviali. E la decisione — i documenti non lasciano dubbio — era presa da anni; da anni era, a un di- presso, prefissa la data. Da mesi, tranquillissima- mente, aveano scritte le disposizioni le più minute, per dire il loro affetto ed evitare ogni molestia ai congiunti, ai sopravviventi. Compievano intanto il loro lavoro di ogni giorno, colla gaiezza consueta; nulla che tradisse un turbamento, che trapelasse la tra- gedia. Se ne andarono, la mano nella mano, come due probi artieri, che, adempiuto tutto il loro ~pito, raccolgono le vesti e gli utensili, salutano i compagni e si avviano, contenti, al meritato riposo — sorri- dendo, canterellando. Per fermo, riandando gli antichi e i recenti esempi di celebrati eroismi, non uno ci avviene di trovarne che eguagli di questo il coraggio, la forza, e insieme il garbo e la tenerezza. La sincrona morte dei due Ber-

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