Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

CRITICA SOCIALE 371 . chi avrebbero avuto ragione da vendere a volersi te- nere la Tripolitania. Noi glie la vogliamo togliere, perchè noi, cittadini italiani, organizzati a forma di Stato e nella nostra qualità di contribuenti, siamo disposti a fare, a pro di un altro popolo (sic, sic!) e delle venture generazioni del popolo nostro, un sacri- ficio, che i Turchi, a quanto pare, non erano disposti a fare, mentre invano pretendevano il contrario, ossia di lucrare ! n 3° — Essere necessario limitare il più possibile I lucri gratuiti e privilegiati di particolari gruppi di citta- dini italiani. Intendiamoci; l'Einaudi non vuol parlare dei forni- tori di zaini, scarpe, vestiti, ecc., come potrebbero credere « i soliti giornali popolareschi n. Egli vuole riferirsi ad altra specie di lucri, che ha radice in una maniera di pensare comunissima e di un sapore na- zionalista che lusinga molti: monopolizzare gli ap- palti pubblici, il credito agricolo, il commercio, ecc., a favore della 'madre patria. Tale politica sarebbe però una politica suicida; perchè laggiù occorre la- voro abile e superiore e capitale, e, mentre possiamo fornire il primo, sarebbe illusione credere che l'I- talia, colle sole sue forze, possa provvedere al se- condo. Bisognerà quindi ottenere la collaborazione di altri paesi ricchi di capitale, rinunciando ad una politica dominata da gretto esclusivismo contro il fattore capitale in genere e a pro di una piccola fra- zione nazionale del medesimo fattore capitale; mentre la parte maggiore di questo, se vorremo incivilire sul serio, dovrà essere straniera. 4°— Essere lenti e costosi gli eventuali benefizi della colonizzazione. «Trattasi di verità — osserva l'Einaudi — oramai divenute di dominio comune, dopo i primissimi entu- siasmi irriflessivi. Parve, per un momento, che l'Italia avesse trovato nella Tripolitania un surrogato all'emi- grazione transoceanica; ma pare certo che, ad usu- fruire dei vantaggi della colonia, saranno, in prin- cipio, non i milioni, e neppure le centinaia di migliaia, ma appena alcune poche migliaia di operai e conta- dini scelti, e solo dopo giungeremo a qualche decina di migliaia, per elevarci alle cifre grosse, se i primi esperimenti riusciranno conclusivi, in un più lontano avvenire n. La terra tripolina è di una specie diversa da quella, che ha attirato milioni di europei nel nuovo mondo, nell'ultimo mezzo secolo, e il cui prodotto tipico è il frumento. Tripolitania e Cirenaica non sembrano certo, a questo riguardo, migliori della Tunisia, e, quantunque il Bevione abbia scritto un articolo per dimostrare che e l'economia del Protettorato dà frutti stupefacenti i, l'Einaudi gli fa vedere che la Tunisia non ha l'aria di un paese ferace di cereali, anche dopo un terzo di secolo di dominazione francese, per- chè la produzione media di frumento è colà inferiore alla produzione media delle regioni più sfavorevol- mente situate in tutta Italie. Questo sia detto per dare un'idea della serietà nazionalista! I cereali non possono, dunque, essere il prodotto tipico dell'agricoltura di quei paesi. e I prodotti adatti a quei paesi sono, forse in proporzioni limitate, la vigna, proabilmente l'olivo, e cioè prodotti che sono anche i nostri; e che, se divenissero abbondanti, fa- rebbero una concorrenza non piacevole ai nostri, al- l'interno e all'estero; e poi i datteri, forse il cotone, co- me si augura il Valenti. In ogni caso, si tratta di cul- ture a ritorni lenti, qualche volta lentissimi; con in- genti spese di impianto e di aspettativa n. « Sarebbe dunque pazzesco discorrere di coloniz- zazione rapida, uso Nord-America od Argentina... Il che vai quanto dire che la Tripolitania non è e non sarà per un pezzo un succedaneo dell'Arnerica per l'e- migrante povero, che va all'estero non per impiegare risparmi già formati, ma per Costituire, appunto, col lavoro, il risparmio. .Affermare il contrario, magari allo scopo di far continuare la proibizione, dannosa all'Argentina, ma anche dannosissima a noi, dell'emi- grazione verso il Plata, gioverà forse agli interessi dei proprietari di terreni nel Mezzogiorno, angustiati dalla mancanza di mano d'opera e dal rincaro dei salari; ma non giova sicuramente alla causa della verità ed al risorgimento economico del Mezzo- giorno». Nè più agevole, secondo l'Einaudi, sarà la coloniz- zazione industriale della colonia. Per ora, l'industria principale sarebbe quella mineraria. Ma sarebbe un guaio grosso se si trovassero davvero potenti miniere di zolfo; e attualmente non sarebbe di grande utilità neppure trovare giacimenti di fosfati minerali, data la crisi profonda che l'industria dei fosfati attraversa. Per quel che riguarda, poi, l'organizzazione della colonia, l'Einaudi dà un'altra tiratine di orecchi al Bevione, che vorrebbe mettervi a capo e up generale di industria n, che abbia rivelato doti di universalità! Einaudi si contenterebbe invece di un ucmo di Go- verno, che sappia creare e una burocrazia %toniate, colta, atta al- suo còmpito, scarsa in numero e lavo- ratrice s. Ciò che è un bell'atto di fede. E, come se tutto questo po' po' di roba non bastasse, Einaudi rincara la dose affermando che e una illu- sione, affine a quella del rapido arricchimento per mezzo delle colonie, è l'altra, che la conquista e la successiva colonizzazione non debbano costare grossi sacrifici finanziaril e magari danneggiare economica- mente in un primo periodo Malia. Poiché io affermo — egli prosegue — che noi questi sacrifici dobbiamo serenamente sopportare; e, poiché credo che solo l'averli serenamente sopportati ci Renderà degni della fatta conquista, spero non si vorrà ascrivere a poco patriottismo la insistenza sulla realtà di questi sacri- fici e di questeperdite iniziali ». »:** Dopo una gustosissima dissertazione sulle questioni della Borsa a proposito della guerra, l'Einaudi giunge alla conclusione del suo articolo. «Sacrifici presenti sicuri e benefizt possibili futuri per le venture generazioni dei coloni: ecco il risultato prevedibile della intrapresa tripolitana. Che è quanto dire che, siccome i benefizi li vedranno, possibilmente, i nostri figli 'e nepoti, noi possiamo fare a meno di preoccuparcene. Dobbiamo soltanto prepararli coi no- stri sacrifizt presenti e colla nostra opera indefessa ». Ma in che modo dovranno essere distribuiti sulla collettività questi sacrifizi? L'Einaudi cita un auto- revole giudizio di Adamo Smith circa le ragioni per cui gli Stati preferiscono, per i bisogni della guerra, ricorrere, anziché alle imposte, ai prestiti, mediante i quali, col più piccolo aumentò di imposte, essi pos- sono ottenere ogni anno la più forte somma possibile di denaro. &Nei grandi Imperi, osserva argutamente Smith, la popolazione, che vive nella capitale e nelle provincie remote dalla scena dell'azione, non risente per lo più quasi nessuno degli inconvenienti della guerra; ma gode con tutto suo comodo il divertimento di leggere sui giornali i fasti delle flotte e degli eser- citi. Per essi questo divertimento compensa la piccola differenza fra le imposte che pagano per causa della guerra e quelle che sono soliti a pagare in tempo di pace. Essi sono di solito malcontenti al ritorno della pace, la quale mette fine a questi divertimenti ed a migliaia di speranze visionarie di conquista e di glo- ria nazionale, derivanti da una più lunga continua- zione della guerra n. Poichè le spese dell'impresa bisognerà pagarle, e poiché i fondi disponibili del Tesoro gioveranno al- l'uopo solo fino ad un certo punto, bisognerà — os- serva Einaudi — decidersi ad ipotecare gli avanzi fu- turi del bilancio e, od ovvero, ai debiti o .alle imposte. Adorno Smith ha detto le ragioni per le quali lui, Einaudi, preferisce le imposte. « L'imposta è educa- trice, il debito è corruttore. L'imposta costringe i cit- tadini a guardare la realtà in faccia, a volere forte- mente e tanto più fortemente quanto più si è disposti a pagare per ottenere l'oggetto delle proprie brame; il debito lascia dubitare che si voglia mollemente, e che si voglia, pur di pagar nulla o poco. Dico di più, che l'imposta, se necessaria, dovrà sopraffino essere pagata dalle classi che più vivamente hanno voluta l'Impresa; ossia, polche questa è stata principalmente amala ad un 'umiliami(' di idee delle chi,' intellet- tuali. ktruile, ricche. burocratiche, do- 1,1,11110 PSSe're' soprolulto 'meste chuirmild, fornire il nerbo della conquista e della colonizza-

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