Critica Sociale - Anno XXI - n. 18 - 16 settembre 1911

CRITICA SOCIALE 281 l'unione delle due e Unioni » —; tutto ciò fu ihscritto nel vessillo, che il Congresso di Torino solennemente inaugurò. Noi cadiamo interamente d'accordo coi redattori della eccellente consorella. Se i dirigenti le due or- ganizzazioni adempiranno il mandato, dall'XI Con- gresso magistrale, che — apertosi nello smarrimento di una coscienza collettiva disorientata — riscattava se stesso, tostochè glie ne fu porto il destro, col ma- gnifico gesto, delineatore di un orizzonte d'azione così nuovo e vasto e fecondo, 'un'opera veramente grandiosa di redenzione nazionale avrà preso le mos- se. 'Nè, col valoroso Faudella, paventiamo che ormai troppe cose, e troppo diverse, si chieggano agli edu- catori, distraendoli dal primo e vero còmpito loro, che è di « insegnare a leggere, a scrivere, a far di conti » (1). Queste, che abbiamo virgolate, sono le condizioni, sono gli strumenti meccanici della col- tura; non sono la coltura, neppure la più rudimen- tale. Il loro acquisto, , per sè solo, senza 'l'esercizio, l'applicazione, l'ambiente, è fatica improduttiva, per chi la dà, come per chi la riceve. Il problema della scuola, il problema politico, eco- nomico, sociale che alla scuola si allaccia, non è di alfabeto e di abbaco, è di coltura. •Affrontarlo nella sua pienezza, costerà ai maestri uno sforzo: perciò l'unione delle Unioni sarà necessaria. Ma, se quello non si risolve, nulla si risolve. Noi. (i) Maestri d'alfabete: nella Riscossa, dl moon, 5 settembre. HA UN CONTENUTO IL RIVOLUZIONARISMO? Ancora una discussione! A qualcuno sembrerà inutile: pochi mesi di tre- gua non possono aver recato nel dibattito elementi sostanziali nuovi. Basterebbe ritornare alle critiche del... Congresso d'Imola, quando le forze della... rivoluzione si raccoglievano intorno all'Avanguardia ed a Labriola. Ma, dal momento che la frazione intransigente rivoluzionaria, dopo l'insuccesso di Milano, tenta un supremo sforzo di riscossa, e, sotto lo schermo di Marx, quasi si atteggia a salvatrice del sociali- smo, crediamo opportuno riesaminarne la dottrina e la pratica. A che mira adunque e in che si sostanzia il movimento dei rivoluzionari? difficile stabilirlo: esso ha assunto la forma negativa della critica e s'è smarrito in un viluppo di frasi, tra le quali riesce penoso sorprendere un nucleo vitale di pensiero ed una norma sicura d'azione. S'è rivelato nella condanna di alcuni at- teggiamenti esteriori del riformismo, come le al- leanze bloccarde e gli appoggi ministeriali: ma ha realmente mostrato un'anima propria, caratteristica, che lo distingua e lo separi dagli altri gruppi, con- ferendogli forza d'individualità e quindi virtù d'af- fermazione? Noi crediamo che in questa domanda sia racchiu- so il nerbo del problema, poiché, per aspirare alla conquista -del partito, il rivoluzionammo deve aver provato di possedere una capacità d'indirizzo ori- ginale, individua. Ora è mai ciò avvenuto? Incominciamo dalla dottrina. Si dice e si ripete che la crisi socialista scaturisce dal crollo del posi- tivismo, penetrato nel grembo marxista attraverso gli equivoci dei commentatori. L'afferinazione è vera, almeno nel senso che la rinascita dell' « idea)) e dello « spirito», turbando l'equilibrio delle ani- me chiuse negli schemi positivistici, prepara gli elementi spirituali della crisi. Si comprenderebbe quindi un risveglio idealista del partito. Ma il rivolu- zionarismo deriva forse dalle correnti moderne della filosofia? Rappresenta la riscossa della volontà con- tro la concezione fatalistica della storia? Mira a dare all'anima egoistica delle Leghe l'impulso di un'idea ed il fuoco d'una fede? Niente affatto. Esso riafferma piena illimitata fiducia nel posi- tivismo! Crede nel moto lento, determinista della so- cietà, nello svolgimento automatico degli istituti ed . invoca la protezione filosofica di Spencer e d'Ardi- gò! Basta consultare un recente articolo della Bala- banoff sull'Avanti! E allora, sul terreno della filo sofia, in che si distingue dal riformismo? Ma v'ha di più. Il marxismo ha attraversato un periodo innega- bile di crisi; dalle sue rovine — usiamo senza scru- poli la parola — sono sorte due teoriche: il rifor- mismo e il sindacalismo; l'uno per • accogliere il principio democratico delle riforme, l'altro per attuare il concetto rivoluzionario della classe; il primo ha seguito le orme filosofiche del positivi- smo, l'altro s'è ispirato alle correnti dell'idealismo: ambedue hanno tentato l'esperimento della praxis. Ma i rivoluzionari? Sono rimasti alla falsa dottrinetta dei commenta- tori, rappresentando l'autorità della tradizione. A- gitano spesso, è vero, la santa effigie di Marx, ma in che ne seguono le dottrine? Non nella filosofia, perché, se ripetono le formule materialiste feuerba- chiane, non accettano il metodo dia tenie° hegeliano. Non nella economia, perchè, sostenendo le categorie superate del valore-lavoro, del sopravalore, e della concentrazione della proprietà, ripudierebbero il movimento moderno della scienza. Non nella pra- tica, perchè Marx propugnò l'intransigenza e la diffidenza della classe, non l'intransigenza e la dif- fidenza del partito. Quindi? Troppo tardi i rivoluzionari si accorsero che, per giustificare un movimento, occorre il pernio di una dottrina e non un semplice stato d'animo di irritazione! Invocarono allora il positivismo; ma proprio quando, per l'instabilità della base, i rifor- misti ricercavano punti nuovi d'appoggio! Nell'azione. Qui sorge il tormentoso problema delle riforme. I rivoluzionari le accettano: altrimenti sopprimerebbero l'opera del partito, ridotto a ceno- bio d'asceti o di predicatori, mentre ogni aggregato politico, in quanto compie funzioni positive, pre- suppone l'obbiettivo e lo sforzo delle riforme. Discutono forse della qualità? Veramente igno- riamo una definizione rivoluzionaria delle.., riforme; in pratica, abbiamo sempre visto i rivoluzionari' accettare ed approvare le conquiste legislative dei riformisti. Cioè no... in questi giorni è comparso nella Soffitta un articolo di... clissenso. Vi si re- spinge in blocco la legislazione sociale conseguita, perchè ha giovato a categorie speciali di cittadini, senza recare benefizi in generale alla collettività. Ma, di grazia, a quale scopo mirarono le riforme, dai probiviri alla soppressione del lavoro notturno? A costituire, crediamo, un complesso di leggi pro- tettrici del lavoi'o, che accrescessero la forza so- ciale del proletariato. E a che tende il socialismo... di classe, se non ad elevare le condizioni del prole- tariato? Che i rivoluzionari ritornino all'utopia della generalità, sostituendo, alla tutela socialista del la- voratore, quella umanitaria, naturalistica dell'uomo? Che ripudiino quindi gli effetti della.., lotta di classe?

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