Critica Sociale - Anno XXI - n. 18 - 16 settembre 1911

282 CRITICA SOCIALE Si dirà: le riforme hanno giovato alla parte scel- ta, intelligente, attiva, degli operai. Si capisce non potevano compiere opera miracolosa di livel- lazione; bastava possedessero forza potenziale di applicazione alle categorie proletarie dell'industria. Ma, sfogliando la Soffitta, vi troviamo un nuovo motivo di meraviglia. I rivoluzionari, v'è scritto, vogliono intensificare lo sviluppo della produzione. Che forse gli altri gruppi dissentono? E poi lo svi- luppo della produzione costituisce l'elemento carat- teristico, intransigente, di classe, del socialismo ? O non è sempre stato l'aspirazione teorica degli eco- nomisti e lo sforzo pratico della borghesia? Ba- stiat e Chevalier, per es., opposero ai benefizt « uto- pistici » del socialismo i benefizi « reali » dell'aumen- to produttivo. E si noti che il fenomeno invocato, se in teoria eleva i tre elementi del profitto — in- teresse, profitto puro, salario — in pratica, solo in piccola parte giova al proletariato. g, ad ogni modo, non ne sposta per nulla la condizione rivolu- zionaria di classe. . A che dunque si riduce l'azione rivoluzionaria dei... rivoluzionari? Al metodo? Qui risorge la distinzione sofistica tra riforme largite e conquistate. Non varrebbe la pena di confutarla, ma purtroppo costituisce l'ar- gomento capitale dei contraddittori. Innanzi tutto, la riforma conserva gli stessi ca- ratteri, tanto se è concessa (oh! l'utopia delle ipo- tesi!) dalla benignità della borghesia, quanto se è ottenuta dalla coazione delle folle. Rappresenta sem- pre uno spostamento d'interessi. Nella distinzione vi è solo un fondo di verità: che le riforme debbo- no rispecchiare un bisogno reale, consaputo, delle masse: altrimenti incontrano difficoltà insormonta- bili nella pratica. Riforme largite? Ma esse sono sempre il risultato di una conquista, in quanto pre- suppongono un periodo di pressioni e di resistenze egoistiche, poichè la società non è retta dalle mas- sime francescane della carità, ma si muove sotto gli stimoli del tornaconto. D'altra parte, conducono sempre a transazioni, poichè generano un equili- brio contingente di interessi e segnano un accordo momentaneo tra le classi. E allora in che consiste Io specifico dei rivolu- zionari ? Nella lotta di classe? Sembrerebbe, ad ascoltare le invettive antirifor- miste. Abbiamo già visto però, nella teoria dell'au- mento produttivo, una tendenza spiccata... alla rin- negazione. Ad ogni modo, per « lotta di classe »— è noto — non s'intende solo il naturale conflitto d'in- teressi proletario-capitalista nella spartizione del profitto: ma un urto sistematico tra gli organi spe- cifici del proletariato e le rappresentanze di classe dei padroni. Quest'urto può essere disciplinato at- traverso i congegni del contratto e dell'arbitrato (riformismo); può essere acuito coll'azione, libera, diretta, autonoma dei Sindacati (sindacalismo). Tra queste concezioni non può sorgere termine interme- dio. Ebbene, che pensano i rivoluzionari? O non si occupano di Leghe, o le considerano come filiazio- ni del partito, o seguono l'opera dei riformisti. Sempre si racchiudono nella cerchia del partito e di là pretendono combattere ed acuire la lotta di clas- se. E non si avvedono che su questo terreno il sin- dacalismo — graziadeiano o soreliano — ha ab- battuto le speranze tradizionali dei militanti! Il par- tito non può inasprire la lotta di classe preparando la rivoluzione economica del proletariato; potrà co- stituire un organo di propaganda ed uno strumento di riforme: non mai sostituire gli istituti diretti dei lavoratori. E allora, in che si risolve la lotta di classe dei rivoluzionari? Nella pura intransigenza elettorale: ecco final- mente l'unico lato personale, caratteristico della fra- zione. Non .stipulare alleanze: non appoggiare mi- nisteri: sono i comandamenti dogmatici del gruppo. Si confonde cori l'intransigenza di classe con l'in- transigenza di partito. Per ciò Longobardi afferma, nella Soffitta, che i riformisti, propugnando le al- leanze, dividono il proletariato, mentre i rivoluzio- nari, combattendo la totalità della borghesia, l'uni- scono. Egli applica al partito i concetti sindacali- sticamente esclusivi della classe! Gli è che neppure in questo il rivoluzionarismo rivela la vantata pa- rentela con Marx. Esso è, più che altro, una so- pravvivenza della setta: conserva l'idolatria del chiu- so, dell'ortodosso, del tradizionale: ricerca i metodi post-marxisti dei militanti che s'illudono di conti- nuare col partito la rivoluzione compiuta dai bor- ghesi coll'economia; ha l'ingenuità dei primi ag- gruppamenti che speravano di rovesciare il capitale coli arme della rivolta politica: senza riflettere che l'elemento marxista della classe ha sconvolto l'u- topia rivoluzionaria dei partiti. Può dunque il solo principio dell'intransigenza legittimare le origini, l'opera e le pretese d'una frazione? Per noi la risposta non può essere che negativa, dato il principio posto più sopra. Un mo- vimento presuppone la forza d'una dottrina e d'una praxis: ciò che non possiede il rivoluzionarismo, fondato sopra un elemento esteriore, secondario di tattica. E a nulla varrebbe l'obbiezione arguta del- l'esistenza: Ambulo, ergo sum. Non falsiamo la formula tradizionale di Cartesio : al rivoluzionari- smo, per ora, manca la virtù indispensabile del « cogit,are ». Esso va oscillando tra le affermazioni di classe del sindacalismo e l'opera parlamentari- sta dei riformisti; bisogna che si decida: ó per la lotta di classe, recisa, organica, sindacale, o per l'azione di partito, graduale, progressiva, evoluzio- nista. Altrimenti rimarrà un elemento d'incertezza e di confusionismo. LUIGI ROVELLI. LE DIVERSE FORME DI ORE11ll1111111011E della piccola proprietà rurale " Vorganieeazione agraria in Belgio. Non si avrà un'idea esatta dell'organizzazione agra- ria belga — essenzialmente confessionale — se non si conosca, almeno nelle somme linee, la legge 31 marzo 1898 per le e Unioni professionali ». Queste, nel Belgio, sono associazioni per lo studio, la tutela e lo sviluppo degli interessi professionali, costituite da cittadini che esercitano una professione — anche « liberale » — a scopo di lucro. La legge non am- mette mescolanza di professioni diverse nella stessa Unione. Per formarle basta consegnare alle Autorità lo Sta- tuto e l'elen-co dei soci. Le Unioni, come tali, non possono esercire mestiere o professione, nè acqui- stare azioni commerciali, .ma la legge (art. 2) con- sente loro: P di fare convenzioni, acquisti e vendite, ne- cessarie al funzionamento dei loro laboratori di tiro- cinio; (I) V. Critica &Onte, 1911, N. 18, pag. 861.

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