Critica Sociale - Anno XX - n. 10 - 16 maggio 1910

ÒRITICA80C1AUJ 150 CHANTECLER 11 Chul! Oaissez le rideau vile! 11 Non ci sono più bestie !,UJln. scena? Possiamo noi uomini parlare libe– ramente, senza paura d:essere confusi con esse e di essere intesi da esse? E lo può questo ctmdido lettore sottoscritto e su queste colonne, dove La Fontaine 1w11 troverebhe il suo piedistallo (e buon per noi collaborntoril) e dove . ogni sforzo si appunta l\ strappare l'Invisibile vt1l0 d'un ven·e grossissant per la sincerità e verità della veduta? Lo chiedo alla sorridente ironia del Direttore 1 In memo• ria almeno di quel nostro Chantecle1·, che da un pezzo non coque,·iqtte più nel nostro pollaio. Abbiate queste righe per una. pau!:la.riposante; per uno squillo di fanfara rinnimn.trice: può essere dolce 1 per chi si affatica nel– l'opera sociale che pare sterile, tanto è lenta nelle sue germinazioni, il canto del loquace e animoso Coq, la cui rede soprav'vive alla sfiducia. Commenl reprend-on du com·age Quand on doute de l'oeuv,•e? - On se mel à l'oum·...,ge! Quef<ta è infatti la morale - non siamo tra le favole? - della fantasia del Rostandj che non è piaciuta ai critici, perehè li speonacchia; non è piaciuta agli ar– tisti più deHeati, perchè è ottimista; non piace ai gior. nalisti, perchè fn pagata un milione. Ed essi non han che due solai la riga! A me parve la cosa più bella fra le cose nuove lette da qualche anuo in quaj e, poichè di solito non si ha la stessa opinione, fa piacere il dirlo. ... Essa sente la campagna: per ehi è avvezzo alla città, all'aria degli uffici, delle assemblee e delle strade, cosi variamente e spiacevolmente odoranti muffa, sigari e benzina, il prorumo, uon dico dei praticelli fioriti o delle foreste imbalsamate, ma d'un cortile di campagna - qua il porcile, là il pollaio, più dietro il nero cu– mulo dello stabbio - ha l'eccitante gusto del nuovo che richiama l'antico i l'antico nostro u io II delle età. agricolf', pastorali e - chi sa? - delle caverne: dove immagino l'odore che c'era. Poi la campagna è: per noi lavoratori della penna, come 'diciamo noi, o del 1·ond-de-cufre, come dicono gli altri, una pausa. Solleviamo le llpalle, rattrappite sopra uo banco; solleviamo il pensiero, rattrappito in un ordine del giorno; r8spiriamo megiiJ' e pensiamo meno. Qualche volta .non leggiamo neppure il giornale: due ca1>poncelli,che si ergono sulle zampette µiù che pos• sono, sino a sollevarsi da terra - e pare che volino - gonfiando le penne del collo, e pare siano galletti, ci divertono quanto una polemica giornalistica, E dura meno: il primo chicco di grano li accomuna nell'ap• petitoj non sempre i polemisti trovano il loro, per rappacificarsi. Quel cortile rustico (la modesta. scena del primo atto) 8 una audacia di verità ingegnosa. Chi ha rammentato gli Uccelli di Aristofane mostra di 11011 averli letti, neppure nella geniale traduzione di Ettore Romagnoli, che rende accessibile finalmente Arilltorane anche ai professori di greco. La spiritualità dell'allegc,ria si adagia qui nella sensibile concretezza del vero natu– rale: tale non è anche il pregio vitale dell'allegoria. dantesca? Noi lo vediamo il rustico cortile: le galline che van beccando e razzando, accorrendo tutte alla scoper~. <!\ Uu vermiciuolo; e, dietro, pulcini, anatrotti, tacchini; un gatto eonnacchio.so sul muro; un cagno11e, rnzzn ln– crocinta1 che sente tutte lt, passioui e gli ardori delle stirpi 11ssommati in sè; e, fra tutti, orgoglioso, pettoruto, spaccamonti, il bel gallo, monarca dal berretto frigio, don Giovanni del pollaio, o piuttosto paaciù del suo ha,·em, u allemanno,, della !!:lii\ consorterill. Tutti abbiamo mille volle visto tutto ciò; ma nessuno ne trnsse lluora altrettautn (mimata poe!iia, su cui irride ti cinico di professione, il .Merlo, che si adatta alla servitù della gabbia, e che vende, a un tanto la faceziR.i quel veleno della vita .... che è lo scetticismo. Quanti merli ben pagati ilschiano la loro beffa :urni– chllente nei giornali e sui palcoscenici, dove, in com– penso, sono alla lor volta fischiati essi stessi I Che questo merlo sia sempre spiritoso non direi: a parte che parecchi motti troppo parigini mi sfuggono, la CO· mlciU\ non dev'essere spontanea nel Rostand. Essa Vuole grossitb. o finezza critica: il poeta tion può es,ere comico perché é appa1<1sionatoe delicato. Entra la Fagiana: reca gli ornamenti dorati dei ma– schi, ma ha dovuto rinunziare alla cova. Blando anti– femminismo! Poi è una intellettuale, che scandalizza ronrsto Patou, il cane; poi è trn'amante nervosa, ge– losa, generosai un po' nnn prima donna da melo– dramma1 sino a sacrificarsi per il Coq. "ralvolta è l'a– nima della vita libera della selva: quando il Gal:o le mostra il suo piccolo regno, domanda se il desiderio di lui non voli, dietro il volo triangolare d 1 nua torma di migranti, a cercare cose diverse. E Chanteclel' ri– sponde che nulla e uniforme sotto il sole, poichè il sole ~a cambiare tutto. Jn~omma, la dorata Fagiana cangia anch'essa, come sotto la luce le cose, a secondi\ dei sentimenti che il poeta vuol irraggiare tiYIQ!\-!IO canoro. Trattandosi di be~tie, non ì11colperemo l'autore di incongruenze psicologiche. Ciò che importa è ciò eh~ si elica: non perchè si dice. E chi mai oserebbe lndn• gare perchè parla così e così l'oratore delle piazze o delle chiese, dei tribunali o del parlamento? rorse non gioverebbe talora all'applauso il saperlo. Chantecle1· è il poeta; il poeta della terra 1 e per ciò l'a– doratore del sole. È la voce dell'anima pura, e perciò ingenua i semplice, e per ciò vittoriosa .. Egli entra nel suo dominio cantando un'orle al sole, che ent.ra in ogui fiore e in ogni capanna; che salnta il mondo, i,;parendo da111umilo finestra, che ultima riluce. Che disegna .de– licati fregi in terra, passando tra foglia e foglia; e ren<te brillanti le pit1 umili cose e ne raddoppia la bal– lezza, ponendo loro accanto la mestizia leggiadra rlelle ombre. ... Atto sec'ondo. Il Gallo canta per far levare il sole. Come faccia è il suo segreto; e la Fagiana arde di saperlo. Fra la curiosità e l'amore, 1111 cuore femmineo uo1i sa sempre rh,olversi. Ma il mistero è semplice: pur drappeggiato nei sun· tnosi pauneggiamenti dell'al88Baudrioo, si risolve negli ultimi pochi versi. Egli osa credtire che, senza di lni, l'aurora non s'accenderebbej osa aver fede. "Io pensO alla lupe e non alla gloriai il cantare è il mio modo di battermi e di credere n- Ma la sua voce non pnò essere intesa iti tutto il mondo? 11 Non so bene che che cosa sia il mondo; canto per la mia valle e per la mia aurora. Ogni altra valle penso abbia il suo canto e la sua aurora"' Ed egli, alle cime dei monti e delle ~l\se, alle foglie degli alberi e aç:li ateli. d~ll~ erbe

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