Critica Sociale - XX - n. 6-7 - 16 mar.-1 apr. 1910

86 CRITICA SOCIALE reggiano il cammino della civiltà. Alla loro volta, lo classi che salgono a galla non sanno subito usufruire del conquistato benessere, e sul principio è più quello che sprecano di quello che godono. I lamenti, che, in buona o in mala rede 1 si ranno oggi da 110Isui danni dell'emigrazione, somigliano molto a quelli che sono sempre sortì in tutti i paesi ove ei è affacciata la presente civiltit industriale e capitalista, la quale ha ovunque prodotto, sul principio, una vera o grande miseria fisica, e ha poi seguitato ad alimentare la disorganizzazione delle famiglie, e la corruzione dello donne e del fanciulli. Basta leggero le diatribe, scagliato un tempo dai so– cialisti l'h·oluzionari come dai reazionari arrabbiati contro il mondo borghese, per ritrovarvi lo stesso pro– rondo pessimismo che abbiamo visto e discusso nei ca– pitoli precedenti. - 11 sistema ca11italistico di produzione - notava il Kautsky nella sua 'J'eo1·iadella miseri(,. crescente (1) - l:ICiogliola famiglia della tradizione IJorghese, senza so– stituirvi un'altra, rorma, o crea per tal guisa una fonte perenne d 1 immiserimcnto o di degenerazione. Se non altro, l'aumento del lavoro delle donne è un indizio si– curo dell'aumento della miseria. Nato da questa, procrea nuova miseria, giacchò la società capitalistica non pro• mo,·o alcuna forma più elevata di convivenza. che tolga alle donne In necessità di viver da sole. 11 lavoro sala– riato della donna diviene per essa un suJ)pllzio, accop– piato com'è col lavoro domestico, e, quanto all'oporaio 1 conduce alla distruzione della sua casa, allo sciupio della sua gio,·inezza, legandolo alle abitudini della bettola, all'abuso d'ogni sorta di droghe 1 apprestatogli dalla salariata, sovraccarica di lavoro, non educata allo faccende di casa 1 ignara della cucina e dell'ago. 11 Non par di leggere uno squarcio della signorina Bernardy? Però, col tempo, le cose, nel campo soclalc 1 si sono molto migliora~e 1 come hanno dovuto riconoscere gli i;tessi socialisti rivoluzionari. Col J)rogresso dell'ingra– naggio capitalistico ò aumentato visibilmente il benes– sere materiale della classe IMoratrice, e s 1 è formata della miglior parte di essa una nuova élite, Irrequieta, combattini, che ha già sorpassato per potenzialità eco– nomica o morale la piccola borghesia o tende a salire più in alto. Simile, se non proprio uguale, è il fenomeno prodotto dall'emigrazione. Anch 1 essa, in fin dei conti, non ha fatto che togliAro i nostri lavoratori dal mondo barbaro, feudale in cui si trova\•ano, o porli a contatto con la Ci\'iltà contemporanea. La differenza ò forse una sola: che la ci\•iltà, in questo caso, non è venuta tra i lavo– ratori1 ma sono essi che, coraggiosamente, disperata– mente, sono andati verso di lei. E, da principio, ne sono stati acciecati, scornb,ussolati, disorientati più che beneficati. Ne hanno assorbito tutto li male e ne sono stati indotti a gettare quel piccolo fardello di bono che avevano 1>ortatodal vecchio mondo. " Nello srorzo dell'adattamento - scrh·e la Bernardy ( 2 ) - si pèrdono molto delle più nobili virtù della razza, tanto fisiche che morali, con allarmante rapidità. Le qualità italiane sono di natura troppo semplice, troppo di tipo eroico per la vita americana ..... La rassegnazione appare un adattamento imbelle e riprovevole a condi– zioni indegne di persone civili; la facile contentatura ò interpretata. come mancanza di iniziativa; la sottomis– sione come abbrutimento e vigliaccheria; l'obbedienza ( 1) \'. Crttlcll Soci(llt, flllllO VIII, N", l~- - Quel capnolo rlCOllll)flr\'C 1101nel \'OIUnl(l dello stell80 KAUTSKY: /I Pl'Q(ll'(IIIWl{I socfolista (UI• lll!Ol('Cft della Cl'illw). ( 1 / L'tmtg1·a::1011t 1/t'llt do,111., t 11'1 f1mrl111/I lla/lfwf; nena Nol'IJ/ Atlm,uc IJfrl!ion. alla tradizione è inerziaj la semplicità un'anticaglia inu– tile; ò la modificazione di apprezzamento, natural~ nel passaggio dalla forma di ,·ita agricola a quella rndu– striale. Cosl I nostri banno da farsi perdonare In Ame– rica non solo le qualità negativo, ma anche, e quasi più, quello positive.,, )la la natura italiana, e sopratutto quella meridionale è molto duttile, e presto i nostri lavoratori, specialmente so si sono recati all'estero da giovani, sanno mettersi alla pari o anche al disopra dei lavoratori etranlerl. Allora comincia per essi, per lo loro famiglie, per il paese da cui 1Jmigrarono e a cui inviano i loro risparmi un periodo migliore. Cessa quella che il Racca chiama la prima fase rlell 1 emigrazione, la fase critica, o subentra la seconda fase, quella che costituisco un indiscutibile \'antaggio nazionale. JI conta:lino 1 il bracciante meri– dionale1 che si sono saputi trasformare all'estero in operai industriali, guadagnano sommo considerevoli; i capitali che, per mezzo loro, affluiscono in patria, fanno cle\'are ~ già lo vedemmo - il prezzo delle torre, au– mentare i salari, diminuire l'usura; 1 ' l'ambiente sociale più progredito in cui vivono dà loro maggior coltura, maggiore civiltà, minore criminalità 1 maggiore spirito d'iniziativa; o minori ne divengono le lotte, i conflitti sociali; minoro Il numero dei tubercolosi o via dicendo. Oiunto a questo punto, che è quello raggiunto già in vari paesi della Sicilia, degli Abruzzi, della Calabria, ccc., l'emigrazione cessa di essero un danno nazionale, e compensa largamente i danni che arreca '"' (I) E 1 in verità, il solo pensiero che le rimesse degli emi– granti hanno reso possibile al Governo italiano di prov– vedere alla conversione della rendita e alla risoluzione tecnica del problema ferro,•iario, devo renderci grati verso i nostri umili lavoratori, che all'ingrata patria eanno rendere di simili benefici. ... Certamente, a conti fatti e per quanto non si voglia ,·Odere il diavolo plt1 brutto di quello che è, restano sempre i mali che sono lneeparablli da qual9iasi pro– gresso sociale. La signorina Bernardy (ci scusi l'esimia scrittrice eo ci piace ancora una volta confutarla), con parole che ricordano il dantesco 1Vo11 (C1ceva, 11asce11do, {li/CO,.f>(1m·a la figlia al pod,·e, chè il tempo e fa dote uo11f11ggic111 (}11i11ci e rjllindi fa mis111·ff, lamenta, nell'articolo sopra "ll miraggio dell.'oro '"' che 1 ' sia passato il tem1>0 in cui poche centinala di lire di corrodo erano tenuto, per una giovane di morlesta con– di7.iono, dota. isfolgo,.ata m e che u le ragazze ora ve– stano alla moderna, e sposino in velo bianco e scarpette di rnso, che vengono eia Napoli e da J?irenze e da Mi– lano, poichò 150 lire per un abito nuziale sembrano rag-ionevolissima spesa n- '.l'utto questo a noi non ra nessuna meraviglia. Perchè tutto questo nou è eh~ la vita cbe si ridesta dopo tanto tempo di sonno 7 o che si ridesta con i beni e con i mali che le sono inerenti. L'amore, sia pure un po' esagerato, del lusso, il desi– derio del mangiar bene e del bever meglio non potevano certo e:dstere quando dHettava as'solutamente il danaro. Ma, so l'Ideale dei moralisti è dì ottenere la moralità con la fame, non può. essere il nostro. Senza contf1.re che una vera morale non può coesistere con la profonda miseria. Basta l'orribile promiscuità. a cui I miserabili (I) Prof. VITTORIO RACCA: /I /(fl'(Jl"O 1/o/iflllQ (11/'ute,·o 11rl 11 1.'Uf>/la HrDl/(}111/C(I ~, Milano, 11108.

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