Critica Sociale - Anno XX - n. 3 - 1 febbraio 1910

Cltl'l'ICA SOCIALE i,;emì una vita non troppo contrnstatn all1ultima maniera del Unbinetlo Giolitti. Cia~cuuo si domnuda: chi potri\. esi-:~re l'erede? E si chietlouo i nostri: qunlC>ttltra combinazione di Governo potrà meglio 11tfolttre? )h~ <ini ~i rinnttccia la questione del couteb,'llO l'he terrì~ il l:rnppo socialista. Non preiend1arno pre,·euìre le tlecisioui collet– th·e; esp!'imiltmo una libera opiuic,11e individuale. I.a Camera, e~austa matrice, uon d1ì. più partiti tli Oo,·erno in antagonismo, nè nomini che si di– i-putiuo il potere in nome di un programma con– fessato. Giolitti era t111..to e uulhl. Souuino lo scim– mieggia e 110 ha l'investitura pro te,npo,·e. La De::-tm è un cimitero abbandonato. La. Siuistra de– mocratica. attorno a cui polè pensarsi, per un giorno, possibile una concentrazione delle Sinistre evupura sempre più nel suo nulla essenziale. \'edete; ent questo il momento - se aveva qual– cot-u. nel ventre - di agitarsi e metterlo fuori i ,,11e~tu 1 o uou mai più, l'ora di far breccia, di in– cunt"ursi, di accendere la propria ipoteca su una succe:-:~ione virtualmente già. aperta .... VedeJ.:te 1111 ontiore? udiste una voce? .La gara è di obliterarsi. ~'inchè souo partiti d1e lottano, v'è un ufficio pei (iruppi eJ.:tremi: g-iovarsi dei conflitti, coutra– stiue-1 aiublre, sospingere. Quanrlo è tutta una J>Ol– ti~lit~ omogenea, e son competizioui <li larve che ll1111ei.r11no iu un mimetismo reciproco e universale, che resta più da fare iu J>arlamento al partito del proletariato"! Auclarsene. Sarebbe una ,·ia. 'l'roppo como1la, forse, per nn partito dì conquista. Poi gli assenti ha1rno torto, 1tllche J.:enou sempre riesce ai pre– senti tli far vttlere la ragione. E un Gruppo bat.ta– u-liero, !ile anche non ottiene il meglio, evita bene spe~so il peggio, col la J.:olapresenza. Hovesciarsi su ogni Ministero. Arloprarsi a scal– zarlo. 11011 importa. A. pro <li qnR! erede . .Logorare il cougegno. ~; anche quest:.o sarebbe un partit:.o. lfo. compenserebbe lo sforzo? E lo intenderebbero le ma~se? Oppure ras~egnarsi all'atteggiamento (I ragione– vole n· In att.e8a <li µ:iorni o cli <lestiui mil,{liori, conteutar~i delle briciole che carlono eia. qunlunque banchetto. Non v'è M10istero 1 si qualifichi radicale o conservatore, che non possa e non debba, per snobismo o per deceuza, concedere uua Banca ciel lavoro, nu quinquennio di esoueru fiscale alle case popolari. o ficcarn un operaio in una Commissione consultiva. E,l 8 sempre meglio ilei nulla. Oo·ni filo li\ tela. 0 Or questo. di tutti i partiti, ci sembra il peggiore. ] I peggiore sopratutto per la sorte del soi.fod ismo temperato e riformista. clel quale è la caricatura. Se l'intransigenza sistematica. se il "tutto o nulla e da pazzi, ,· 1 è un punto oltre il quale la preoccu~ pa~done micromaue del meno 1>eggiodiventa abdi• cuzione e liquidazione di un partito· diventa la ragione e il rinforzo - per r·eazione ~ecessa)"ia - d_<~lla endenza contraria: nella specie, del sindaca– lismo rh·oluzionario ed anarchico. Porteremo le nostre fascine a quelle fornaci? . . . I~ ldlom.? la conclusione? Quella a cni giungemmo altre volte. Se uell'at– tual_e atteggiHsi dei p,wtiti alla Camera., n;algrado ogni nostro buon ,·olere ci troviamo murati nella cronicità r~ell'impotenza, a che pro illuderci o il– luclere~ Ciò sig111li<:a che il rimedio è fuori della Camera ed ò nel partito; che nuove forze ci OC· corrono, le quali i! proletariato non ci offre e che vogliono essere suscitate e disciplinate nel I prole- tariato: che, fra l'azioDe del Gruppo e quella delle nmsse, c'è un hyatus che bisogna colmare. Non si tratta di disertare gli spalti conquistati; di coufinarci nella superata predicazione e,·angelica dei primi principi, o di sciorinare il g- uanlaroba dei progranimi minimi. Si tratta <li fa.re quel che gli altri partiti non fauuo, e perciò hanno cessato di essere partiti; di rifare quel che noi facemmo quando con(Juist.ammo la tutela dell'infanzia nelle fabbriche, la libertà di propaganda e di coalizione. Sulle J)OCheriforme che cento volte proclamammo uq.{tmti - in capolinea quella del sulfragio - stu– dinte. discusse, precisale nei particolari, accam– parci e condurre la campagna, con tenacia britan– nica, fra. le musse e il Parlamento, fra il Parla– mento e le mnsse, tutti insistendo, tutti coadiu– nnulo. nessuno lasciando presa fino a vittoria ot– tenuta. Qui l'arguto "Osservntore n del Viandante trova che ci ripetiamo fino allo sbadiglio. che facciamo delle frasi di cui dobbiamo essere ristucchi. Per– fettamente. g peggio è che, più in noi si rafforza il co11viucimeuto, più fra.seggeremo e ripeteremo. l 1 i' il nostro ufficio in queste pagine. Di Guerrazzi, crediamo, è il motto: scrissi un librn. non potendo dlwe nua battaglia. Noi non possiamo dare uua battaglia ogni giorno: non siamo fuhuini d i guerra. Pos~iamo, tn,tto tratto, scara– bocchia.re un nrticolo. Che è assai meno di un libro; ed i, tan lo di guadagnato. LA CRITICA Soc1Au;. ANDREA COSTA. Cou Au<lrea Costa, e/te è morto, muore vernme11te, e(l è suggellata, nell'unw,, tutta wu, fase - la prima - del socialismo italfono. B pere/tè quella, che ftt la vita vera dì lui, (11, anche la giovinezza ciel partito e la nostra; e perchè 1 qmmdo cotesta giovinezza varcò wt w1a matw·itcì e/te forse ai -r;enturinon parrà cm– cora adulta, nui che tale parve a, quei che la vissero, e/te tale fu nei raffronti col J>eriollo1)rimo, egli. 110n si a))partò arcig110 nelle nostalgie ciel passato, com'è il costume clei so,·J)a,,;sati nella vita, ma si stud·iò di 'intemlere i nuovi moti e modi. della sue, parte e d·i seco11darU 1 e sovente trw1fuse ùt essi quemto tuttavia di vitale fremeva in lui del periodo eroico delle ori– gini, di cui 1·imaneva egli il simbolo valpitante e a cui. ci riallaccicwa un vo· lutti~ anche i pih U.trcU remtli; per questo il suo non è il cadere delle, fronda 1110,·ta, che si stacca. lenta dal ramo, 1·apita nel vortice della eterna vicendi, dell'essere; e U nostro 11011 è il comvia11torituale, che w,a pia cosluma11zeiimpone agli umani. Son è il compianto, e 11011 è il rim– picmto, ma, è il pianto; l'albero, tutto quemto, sente la lacerazione e geme dell'atroce feritci ; è il nostro ieri, 11011 ben morto, che il suo feretro invola, ed è una 'JXH'teviva di noi vivi e/te s'ùicene,-isce seco sull'ara . Quegli, che ci precorse nella luce della battaglia, ci precorre nell'ombra, e l'omhra (asciti noi pure; come superstiti a noi stessi, diciamo anche, nel suo uecro– logio, l'epicedio nostro. È lard·i 1 sri queste pagi11e,per sminuzzare la bio– grafia, che invase gU, i quotidiani; anche è tarcU, ver l'itentm·e Videalizzazione del morto, quale balzò alterei nelle parole lapidarie del pih degno, fra noi,

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