Critica Sociale - Anno XVIII - n. 13 - 1 luglio 1908

202 CRITICA SOCIALE costruzioni entra in una media di 3700 locali offerti annualmente nell'ultimo quinquennio. Tirando le somme, nel 1900-1907, di fronte ad una richiesta di 44.000 locali sta un'offerta di circa 29.000 locali; con uno squilibrio pertanto di L5.000; il qunle va poi rettificato ed aumentato, ove si tenga conto, com'è necessario, delle demolizioni av– venute nel frattempo (2000 Jocnli), delle case occu– pate per Unìci propri dalle pubbliche amministra– zioni (2000 almeno), dello destinazioni dèi nuovi edifici nd alberghi, pensioni, congregazioni religiose (tOOO). Lo squilibrio sale così ad oltre 20.000 locali. Bisogria. quindi buttarli nel mercato .. Ma non è possibile farlo con la, bacchetta magica, e biso~na. computare allora altri elementi. Nei cinque anni che occorrono per fabbricare i 20.000 locali, se ne ren– dono pur necessari altri 6000 all1anno per fronteg– giare il nornrnlo aumento della. popolazione (e quindi 6000 X 5 = 30.000); poi bisognorà. riparare ai V(lni pei 7000 locali eia, demolirsi, secondo i patti già con– cordati col Governo. Si ha così un fabbisogno nel quinquennio di 60.000 locali. Chi provvederà a. questo stock enorme, indispensa– bile per ristabilire l'equilibrio nel mercato? II. Vindustrh1, 1>rivnt11,, [o credo che 1 in linea di principio, vi possano es• sere accentuazioni speciali, ma nessuna divergenza fra. gli elementi che si accingono insieme a risolvere il problema edilizio. Se una particolare temperie mentale e gli studi tradizionali inducono il Nathan n men fattiva fede verso l'intervenzionismo dei pub– blici poteri, in confronto alla spontaneità delPin– dustria privata ed alla cooperazione impregnata di associazionismo mazziniano; e se, d"a\tra parte, uo– mini d'ordine, come M. Ferraris e Vanni, disperano di un grande impulso da parte delle imprese edilizie e confidano solo nell'aziono della collettività, dispie– gata per mezzo degli speciali istituti, cari al loro cuore; tutti però, niuno eccettuato, ammettono che c 1 è posto por tutti, che bisogna contare su tutto lo forze, che in questa materia bisogna essere sana• mente eclettici e politeisti, come dice L. Luzzatti, che presiedo a tutti i tentativi di risolvere il pro– blema edilizio che sì fanno dentro ed attorno al Co– mune di Roma. Anche .Montomartini è politeista, e prevede che, nel quiaquennio di intensa costruzione, il flusso or– dinario dovuto alPiniziativa pl'ivata sarà di ,~500 locali all'anno e quello delle Cooperative di L000; cioè, in complesso, 27.500 locali. Ai quali conviene aggiungere, egli dice, i locali fabbricabili con le somme ora disponibili per l'rstituto delle cttse po– polari e quello degli impiegati: 23 milioni, ossia 13.600 ambienti. ltimarrebbo sempre un deficit di 20.000 stanze, e bisogna che le costruisca il Comune, sia pure poi tramite dei due istituti. · ro sono meno profeta cli Moutemartiai, e non oso fermare ia cifre i coefficienti delle varie forze, quali presumibilmente si svolgeranno nel quinquennio assunto. Noto poi che il Monlemartini si dimentica come i 23 miliooi dei duo istituti sono facilmente triplicabili col sistema (già assicurato con impegni della Cassa nazionale di previdenza) dei mutui poL· tre quarti dei capitali investiti in costruzioni. 'l'rovo infine che il limite - più che nella capacità cl'o– spaosione dello varie forze - è nelle inesornbili csigeaze del tempo tecnico. F~d in ogni modo, trat– tandosi, da 1>nrtedel Comune e degli Enti morali, di un intervento gradua.bilo per intensità a seconda dello sviluppo attinto dall'industria privata, non mi pare opportuno allineare cifre che non hanno valore normativo. Preferisco passare in rapida rassegna le fonti ciel· l'energia costruttrice, L'industria privata, in prima linea, inquantochè gli altri interventi hanno carattere cli integrazione o sostituzione, per quel che si rilevi della sua in– sufficienza. Sembra un paradosso (in contrasto con la legge economica della influenza della variazione dei prezzi dei prodotti sulla variazione dell'offerta) il fatto, constatabile nei grandi centri, che l'offerta di case non segue la domanda e che, cioè, all'altis– simo saggio dei fitti non corrisponde l'incremonto delle intraprese edilizie. li paradosso si spiega, te– nendo conto che il \'antaggio dell'aumentato prezzo delle caso non è assorbito dall'industria costruttrice, ma va diviso o disperso anche tra le altre industrie concomitanti (materiali, aree, ecc.) e tra gli altri_ fat– tori della produzione (mano d'opera, ecc.). E' la teoria ciel liquido nei vasi comunicanti, che si adatto. benissimo alln. formazione dei prezzi. La pura. in– dustria edilizia (investimento cli capitali in case) 11011 rappresenta che un investimento ordinario cli deoaro, che dà gli intere!isi o i profitti correnti nel mercato, essendo soggetto a tutti i rincari negli ele– menti di cui si vale. Vero è che con il salire dei fitti aumenta il valore delle case e le rendite cli posizione diventano colossali; ma ciò si verifica per le caso già costruite e valorizzate; non per le nuove. Solo speciali circostanze possono attrarre con grande intensità il capitale all'industria edilizia: ad esempio il contemporaneo procedere della. speculnzione delle aree e della costruzione delle case, o la speranza che l'investimento ordinario attuale darà luogo ad un guadagno di sopravalori susseguenti all'accre– sciuto costo delle case in seguito allo sviluppo della città. Ammesso, in principio, che si deve contare sulla privata industria, ne viene come inevitabile conse– guenza la necessità di ingenerare nell'ambiente una condiziono ad essa più favorevole ed allettante e di non considerarla a base dell'accusa di succhion·ismo, o di quelle insolenze incomposte che pur chiedono il suo ausilio per uscire dalle distrette attuali. Può giovare una illuminata ostensione di beneficì fiscali, nel senso della proposta di legge Chiesa, che riproduce un'antica disposizii,oe, non giunta a riva, del dbegno di legge Luzzatti sulle case popolari. Se si a\·esse il coraggio di imitare quanto si é fatto all'estero (Vienna 1 'l'rieste, ecc.) e di esentare tutte le nuove costruzioni, popolari o no, per un dato pe– riodo, si preparerebbe al fisco, in premio della sua forzata astinenza, un pingue campo di preda tra brevi anni, e si otterrebbe una..,espansione automa– tica notevolissima della città. Ma, poichè l'esenzione non 1>otrcbbe essere privilegio della sola Roma e dovrebbe estendersi a tutti i centri italiani dinamici, la miopia del fisco lo in<lurrà probabilmente ad ac– canita resistenza. [o ho pensato allora alla istitu– zione di una specie di zone fra,uche periferiche, at• torno alla città, in cui sia lecito costruire senza pagar ta8se per dati periodi ; zone da determinarsi a cura dei Comuni, con npprovazione da parte del Governo. Oltre alle esenzioni fiscali, può venirsi in aiuto all'industria privata col fornirle aree a mite prezzo e col togliere il dazio dei materiali. Il primo mezzo rientra nella politica generalo edilizia, che vedremo dopo: in ogni modo occorre dire una volta per tutto che il prezzo dello aree è il più spesso un elemento insignificante nel prezzo complessivo di fabbrica– zione, e non J>UÒ la differenza di una decina di lire al metro quadro d1 superficie spostare le due o tre centinaia necessarie per coprire di case Il nudo terreno. Quanto al dazio sui materiali, senza. dubbio

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