Critica Sociale - Anno XVII - n.18 - 16 settembre 1907

278 CRITICASOCIALE modesti in9egnanti, a"vezzi n spicciolare la '8cienza alla buona, subentrarono 1 professoroni e i conferenzieri cli grido; gll operai si trovarono quindi a disagio, sia per la compagnia dei condiscepoli più Istruiti che li tenevano in suggezlono, sia per l'elevatezza delle lezioni e del le conferenze ch'essl non riuscivano più a capire; opperciò lnfllaron l'uscio, e vin. Cosl, concludo il giornale pado– vano, l'elemento opernio es1tll>dalle aule delle U,iiversità popolari per ritornare alle osterie che aveva disertato. Proprio cosi ? Magari fosso! Chè sarebbe cosi facile, con pronta resipiscenza, tornare sul proprt passi e ri· condurre nll'ovlle le sbandato pecorelle! Ma, pur troppo, cosl non ò. E questo esodo dell'operaio dall'osteria al• l'Università popolo.re e poi, ridaccapo 1 dall'Università popolare all'osteria è un Bemplice sogno. Le osterie, pur troppo, non ebbero mal a piangere su cosiffatte diser– zioni; e, quanto nll'operalo, non è già che egli si sia stancato di venire a noi, ma la verità è piuttosto ch'egll non sl è deciso ttncora a venirci, almeno con quella frequenza e 8ponta,eità ,•olontero11ache noi vorremmo. Su questo la città di Milano - che di operai. e di vita operaia ha assai più abbondanza e conoscenza che Pa– dova non abbia - Insegna abbastanza. Più profonda è l'analisi di Emilio "'inek, alla quale lo non posso che accennare fuggevolmente. li nostro OP.e– raio, scrive il relatore belga, non sente il bisogno e Il desiderio della cultura intellettuale: egli ò, alla flne della sua giornata, troppo stanco dal lavoro; lo durezze, le abitudini, le tradizioni della sua eslstenza ne hanno ottuso e quasi atrofizzato Il cervello; all'infuori delle ristretto cognizioni tecniche attinenti alla sua profes– sione, egli non vede perchè debba rare uno sforzo per saper altro; e, d'altra parte, il ricordo che serba della acuola elementare, da cui si ò da tempo distaccato, non è fiLltopor allettarlo verso una nuova istituzione didat– tica ch'egli concepisce monotona e molesta come Pantica. Queste osservazioni, bisogna convenirne, sono assai acute o giuste, e, ratta ragione alle diversità. degli am• blenti, valgono par l'Italia come per Il Belgio. Ma, ripeto, a che conclude tutto questo? al fallimento delle Univer– sità popolari? Rispondo per la seconda volta: no. E 1 anzitutto, oHervo ehe le Università popolari (come si ricava, del resto, dal loro stesso nome di battesimo) non devono considerarsi, nè es:10medesime vollero es• sere, una Istituzione esclusivamente destinata alla classe operaia. E appunto questo concetto, lo scorso anno volle che rosse ricordato o riaffermato In un suo ordine del giorno Il Congresso internazionale di llilauo. Ciò mi piace rilevare, non già perchè io abbia per gli ordini del giorno dei Congressi una soverchia. reverenza, ma perchò qui è indlcata implicitamente la via che noi dob– biamo seguire. Certamente Poperalo cl deve premere: egli anzi (lo pà'rlo, naturalmente, da socialista) cl deve premere più di tutto e di tutti. Ma all'operalo nol arri• veremo tanto più agevolmente e sicuramente, quanto meno ci ostineremo a voler arri varo subito a lui, imme– diatamente a lui, unicamente a lu1. La realtà va ptesa com'è: essa si trasforma ben,l, ma non si contraddice e non si sforza violentemente; e nella realtà vi sono certe strutture intime e salde, alle quali noi dobbiamo render pieghevole la nostra azione, quand'anche esse et costrin• gano a limitare le aspirazioni e a rallentare ed alino– gare il cammino. Ora, interrog,uido la realtà, noi troviamo che, all'aptirsi delle nostre Università popolari 1 il pubblico, che ad esso accorse più numeroso e sollecito, fu un pubbllco etero- . geneo d'uomini e di donne, un conglobato di medU cett, lo..maggior parte poco discosti dal ceto operaio: furono - e sono tuttavia - commessi, impiegati d'azienda prl• vate e pubbliche, esercenti, maestri, studenti, artisti e poi (In numero sempre più ristretto in ragione ~ell'ele– varsi del grado economico sociale) professori, med1cl, avvocati. Tutto questo pubblico sentiva e sente il bisogno di allargare, di completare, di rinfrescare la propria col– tura; di respirare, uscendo dall1afa doll'eserclzlo prores• sionale, un po' d 1 osslgeno Intellettivo; di partecipate a quell'agitarsi di questioni e di problemi che Invade la scienza, l'arte, la vita morale, economtca1politica. Questa gente, con moto spontaneo o desioso, ha affo11atele aule delle Università popolari. SI doveva respingerla? O perchè? Ma essa, badate, oltre al vantaggio che ricava per sè, porta fuori dell'Università popolare Il senso e la passione della cultura e li diffonde Intorno, negli altri strati sÒclall. A questo pubblico gli operai si sono a'ggluntt e mesco• lati. In che proporzione? Chi pub, In fbateria slmtle, misurare le proporzioni P Queste variano secondo gli ambienti e le circostanze. .t>eresempio, in· una sezione dell'Università Popolare milanese, fondata lo scorso anno a Legnano, la. grandissima. maggioranza dei frequentatori è, e si mantiene, di operai. A Milano invece, nella. sede centl'ale dell'Università Popolare 1 gli operai sono note– volmente In minoranze.; ma quelli, che frequentano la sede, sono operai intellettualmente scelti, delle oategorlo proteaslonall più elevate, e sono assidui, fedeli, appas– sionati, pioni d'ardore noi far propaganda per l'istruzione. DI fronte alle condizioni, materlaU e psicologiche, di ambiente o di pubblico, qui sopra descritte, le Università JlOpolari devono aaper trovare con accorta saggezza le loro vie e t loro espedienti. Un primo espediente è quello di sdoppiarsi, di triptl– carai1 di moltiplicarsi. Cosl el è ratto a Milano, dove, oltre a due sedi centrali, se no aono Istituite quattro suburbane, nei quartieri ph\ popolati da operai, adot– tando per esse una forma d'insegnamento più semplice e più elementare. ' E non basta. Quando gli operai non si muovono de. sè - sia per naturale accidia, sia anobe perchè spesso ignorano perfino l'esistenza delle nostre istituzioni - possiamo e dobbiamo andar nol a trovar loro. Questo ba appunto deciso di fare nel prossimo anno l'Univer– sità Popolare milanese, adottando Il sistema delle cat– tedre ambulanti e portando eosl la sua parola or qua, or là, in ambienti operai, epecialmente in Cooperative di consumo e di produzione, nelle quali c'è anche di solito ampiezza e comodità di locali. AlcuÌli osperimen ti già fattt hanno dato eccellenti risultati. E chi scrive ricorda con compiacenza di aver teputo quest'estate cOn molto successo alcune lezlonl-eooferonze su un argo– mento morale e sociale nel giardino (s'era in giugno o faceva caldo I) di una Cooperativa 1 lui ritto lo piedi sur una tavola, e dinanzi a lui Il euo pubblico, una ses– santina d'uomini e donne del popolo, tranquilla.mento seduti su seggiole e panche, che ascoltavano attenta– mente e intramezzavano la ascoltazione con disorete bevute di gasose, birra e vin bianco. Ciò è poco acea– dem!co, ne convengo, ma è eosl piacevole, oosl pratico e cosl umano I Le Camere del Lavoro parrebbero, ma non sono, gli amblentl più adatti a.d accogliere l1opera delle Univer– sità popolari. In generale, e speoiahnente nelle grandi città industriali, nelle Camer~ del Lavoro gli operai sono troppo presi o a,,sorbiti nel lQro speolflco movt•

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