Critica Sociale - Anno XVI - n. 23 - 1 dicembre 1906

354 CRITICASOCIALE senza dubbio, tanto cotesti problemi soao vasti, pon• derosi e complessi, la questioue del domani o del pos– domnni. Non si tratta di un incidente nò di una parentesi. .Parecchi di cotesti problemi noi li ve– dremo evolversi ed ingigantirsi come più c'indu– strieremo di risolverli. o per il crescere sem1>re piit rapido dei traffici e ·della ricchezza, o per il fatto psicologico che il hisogno soddisfatto genera bisogni nuovi e maggiori. Sarà quest 1 ultimo 1 pensiamo, il destino del problema della scuola. Sarà stato più facile esser rimasti per lunghi anni nella p resente 13eozia, iu fotto di istruzione popolare, qua.si immo– bili malgrado la legge dell'istruzione obblig atoria, che non sostare alle prime conquiste: aperti gli occhi alle masse, sarà presto impossibile lesinar loro la luce. Forse è il presentimento di questo meravi– glioso " pericolo ,, che rende le classi superiori più renitenti ad ogni moto su questo che su ogni altro terreno. Questo affacciarsi e primeg~ia,re rli problemi tec– nici, che si intrecciano e si aggrovigliano a vi– cenda, ,,a modificando insensibilmente il carattere della nostra politica. Uu certo idealismo miope o misoneista se ne duole, come di un rinculo. Pare che di politica non ve ne sia pii1quasi affatto i o si sia tutta rifugiata nelle competizioni pettegole delle cricche e dei gruppi. Le grandi idealità semplici della vigilia semhrano sparite. Libertà o stringi– mento di freni; clericalismo e anticlericalismo; libo· rismo e protezionismo; tutte queste solenni questioni così dette di "principi,,, che servivano così bene a distinguere i partiti ed erano così comode a tutti per issare una bandiera e sferrare pistolotti eletto– rali, si nascondono nel retroscena, urtate e spaurito da cotest a invas ione tumultuaria di tecnicismo - del .quale era quo.si nobiltà, per gli uomini politici d'un tempo, es sere ve rgini. La vita del P~rlamento langue in una specie cli dormiveglia, scosso appena, tratto tr8.tto, da sussulti. I partiti tradizionali han perduto la fisionomia. che li contraddistinse così a lungo. r bisogni delle masse laboriose han trovato nel partito socialista un interprete animoso, ma anche questo, dopo i primi passi, si arrestò smarrito: il passaggio dalla formula all'azione, dalla teoria alla pratica, lo intrigò, e ne nacquero ire, divisioni, polemiche interne senza fine. A Ile attuazioni immediate, alla concilia– zione dei bisogni nuovi colle esigenze permanenti dell'assetto sociale, alla praticità e alJa gradualità delle evoluzioni, parve si assumesse di pensare il partito radicale; ma esso pure sta ponzan<lo se stesso, incerto del suo oggi e del suo domani, mal deciso se debba essere un partito politico o economico, un partito di Governo o un partito di propulsione. Non è questione di uomini, sono proprio difficoltà che sorgono dalle cose. Se Bovio, se Imbriani, se lo stesso Cavallotti ~ citiamo a disegno i maggiori - ricomparissero d 1 un tratto alla ribalta politica, sem– brerebbero degli spostati o dei sopravvissuti. E non mancherebbero le prefiche a strillare sulla tristizia dei tempi.. .. . .. Ebbene, no. Noi voglia.mo dire tutto il nostro ot– timismo. Non cred iamo al ri nculo, alla paralisi, alla decadenza. Il vero è esatta'meute l'opposto. La poli– tica non è morta: bensì essa si rinnova e si trosfi gura per riapparire più renlistica, più complessa. e più alta. Questa nostra ò una crisi di crescenza, in tutti i campi, in tutte le direzioni. Certo, ai bi– sogni che si annunciano, all'atth•ità che dilagfl, gli organi politici sono insufficienti e inadatti. È questa la rivelazione del p1·esente momento. Ma la dingnosi è tutt'altro che triste e la prognosi tutt'altro che disperata. Quando mai i progressi di un popolo, i passaggi da. una fase all'altra cli civiltà avvennero come un'esperienza di laboratorio, dove prima si preparano le fiale, le provette, i lambicchi e tutto si misura col bilancino? È per via di adattamenti che le cose procedono. Le funzioni creano gli or– gani e nessun parto avviene senza strilli per chi dà e per chi riceve la vita. Il fenomeno si può riassumere in pochissime pa– role: lo Stato, la nazione, tutto il mondo civile, stanno diventando Stato, nazione e civiltà industriale. La collettivizzazione, che avvenne prima nei SCJ'\'izi strett1unonto politici e amministrativi - sicurezzrt. pubblica, giustizia, percezione o erogazione dei tributi - passa, a poco a poco, e si tlistende in tutto il mondo economico. Oli individualisti vecchio stile non lo ammettono ancora, per prevenzione dottri– nale: o6ni estensione del dominio collettivo è per essi un'eccezione, tutt'al più una integrazione inevi– tabile, a cui fanno il viso arcigno; la comuue della gente non lo vede, scerne l'albero e ignnra la foresta. Ma la foresta vigoreggia a dispetto delle prevenzioni e dell'ignoranza, e copre tutte lo radure e trasmuta la faccia della terra. Questa. verità non è oppugnabile. Il suo indice sta nel gonfiargi vertiginoso.. dei bilanci di Stato e co– munali. Nel chiuso delle cattedre i dotti vanno an– cora cercando, con sottili ragionari accademici, sin dove debba estendersi l'attività dello Stato e dei pubblici poteri, e s'industriano di porre dei limiti aprioristici più o meno rigidi, di piantare dei ter– mini fissi dove è scritto 11ec vlus ultra. Il fatto li atterra e li soverchia. Quello che avvenne pel ratto nazionale avviene pel fatto economico. L'individuo ed il piccolo gruppo sono assorbiti e travolti. Una legge di solidarietà - che in fondo si riduce alla legge del minimo mezzo - vince tutti gli osta– coli teo rici meg lio congegnati. L'umanità ha inte– resse a forma.re sompre più una sola famiglia, a di– spetto dei profes sori, e ad amministrarsi da se stessa, a. dispetto dei pedagoghi. E lo fa, senza rendersene conto. Se ne renderanno conto gli storici futuri. Si veda, poichè è tipico, il caso delle ferrovie. Son due anni e ancor si disputava fra esercizio delle Compagnie od esercizio di Stato. Quest'ultimo non sembrR.va offatto che dovesse prevalere. Si giostrava nel campo dei " principi,,. [n realtà. i principi puri erano già messi a dormire da un pezzo. Lo Stato era già il padrone delle ferrovie italiane, l'ispettore e il maggiore compartecipe dell'esercizio. Solo al– cune parti di questo erano delegate: ne nasceva. un dualismo d'interessi che ripercuoteva i suoi effetti deleteri sul servizio. La deliberazione del passaggio all'esercizio di Stato parve allora una trovata elet– torale dell'ou. Giolitti, o una vittoria ciel personale organizzato, che lo aveva sempre caldeggiato. Ma la trovata e la vittoria furono possibili perchè un'im– mensa vis a tergo aveva cospirato con esse. La na– zione voleva essere interamente padrona lle 1 suoi grandi mezzi di tra.sporto. Era assurdo intuitiva– mente che vi rinunciasse. Gli inconvenienti, che sa– rebbero nati, non potevano spaventarla, poichè nes– sun inconveniente era maggiore di quello, insito nel fatto primordiale di non essere essa la padrona. Agli inconvenienti si sarebbe riparato. L'esperienza è fatta per cotesto. Il timore degli inconvenienti non po– teva trattenerla dall'obbedire alla legge del suo es– sere, dall'estendere il proprio dominio, dall'intensi– ficare lo. sua vita. Non ò questa una legge metafisica, non si tratta di un qualsiasi demiurgo che muova le cose dal di fuori. La democrazia da un lato e la grande indu– stria dall'altro, il fatto politico e il fatto economico, incontrandosi, generano l'esercizio di Stato per ne• cessità ineluttabile, perchè creano ad un tempo la possibilità ed il bisogno dell'esercizio nazionale, che significa il piìt grande esercizio n vantaggio del più

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