Critica Sociale - Anno XVI - n. 9 - 1 maggio 1906

CRITICA SOCIALE 139 dominio del Mediterraneo in mezzo al quale giace la Sicilia. Se la, Sicilia con la Costituzione del t 8 l2 fosse riuscita a staccarsi, come desiderava, dal reime di Napoli, gli Inglesi per il dominio del "Mediter– raneo avrebbero tratteuuta 11[sola, che già occupa– vano con le armi di lord .13entink. L'Unità d'Italia, dando alla Sicilia le stesse sorti politiche che alle altre regioni unificate, e portando la capitale nel terreno neutro di Roma, dove non può sorgere alcuna egemonia regionale, tolse alla Sicilia ogni ragione di un regno proprio; anzi le dirde i vantaggi deriYanti cla un grande 8tato unitario. }._fa con i vantaggi le arrecò anche gra\'i danni, fra cui principale quello di un nuo\'O torna– conto al latifonclismo barbarico. Dentro i confini di un grirnde Stato moderno i diversi fattori di vita economica si straltificano da sè, e poi reagiscono fra di loro come i dischi di vario metallo di una, pila elettric~. La grande industria manifattrice, necessaria al consumo nazionale, si svolge nel Nord, e la prevalenza dell'agricoltura semifeudale o poco evoluta si mantiene nel Sud, dove la. minore inclemenza del clima permette una pro– duzione agricola meno costosa ed una maggiore rendita fondiaria gratuita. La grande industria nelle provincie meridionali è impedita dallo stesso SYi· luppo industriale del Nord, dove le fabbriche pro– ducono, non per iJ solo consumo locale, mit per esportare. L'esportazione di manifatture dal Nord al Sud di uno stesso Stato è agevolata dalla protezione doganale, che impedisce la importazione nel Sud <li prodotti simili dall'estero. La controcorrente di prodotti agricoli dal Sud verso il Nord non equivale a quella di prodotti in– dustriali dal Sud verso il Nord. li vino siciliano trova, ad espandersi nei mercati dell'Alta Italia, la c,,ncorrenza di altri vini meridionali e di quelli set– tentrion~lì stessi; il grano, pl'incipale prodotto di Sicilia 1 essendo insufficiente al consumo dell'Isola, non forma oggetto di esportazione; le frutta nella maggior parte trovano, nella scarsa serbe,,olezza, nelle alte tariffe di trasporti, nelle barriere daziarie interne e nel difettoso organismo commerciale, le rémore ad una larga diffusione nei consumi popolari; altri prodotti agricoli infine, come il legno, il car– bone, le pelli, la carne e i latticini, an,,,ichè espor– tarne, la Sicilia deve importarli per la quasi totalità dei suoi bisogni. L'agricoltura semifeudale a latifondi nudi è, di conseguenza 1 mantenuta dallo stesso sviluppo indu– striale delle altre regioni. L'UnitlL d'Italia è servita come nuovo fattore di conservazione del .latifondo siciliano; e la superiorità settentrionale si è svilup– pata sulla inferiorità meridionale. rell'ex Reg110 delle Due Sicilie, per soddisfare il consumo all'interno, erano incominciate a sorgere alcune industrie, come quella tessile attorno a Na– poli, dove ora il difetto d'industrialismo è creduto la principale causa d'inferiorità; ma di fronte alle industrie del Napolitano la Sicilia sarebbe restata sempre latifondista. Nella stessa Sicilia la parie rivolta a sud è la meno industriale e dove l'agricoltura conserva di più le vec:chie fanne feudali, proprio quella parte dove si SY0lse maggiormente la civiltà greco-sicula. Lo sviluppo industriale in ogni regione vorrebbe una difesa doganale con 1move baniere tra le di· verse parti dell'Italia unita. 'l'alo rinnovamento di barbarie troverebbe l'opposizione anche di ogni più convinto federalista. Lo sviluppo industriale di un dato paese, in regime di speculazione capitalistica, è in rapporto al proprio ordinamento dei tributi, delle d'ogane, delle Banche e dei mezzi di scambio. Non sopportando nessuno un federalismo con varie politiche dogi:Lnali, le due forme estrnmc della pro- duzione, l'industrialismo e il latifondismo incolto, devonsi rispettivamente polarizzare al nord e al sud, e la Sicilia deve per forza restare latifondista. Non vuolsi, da quanto ho eletto, concludere con la rinnegazione dell'Unità d'Italia, trovando anzi la nazionalizzazione dei latifondi, che è la sola solu– zione efficace del pl'Oblema ag1·ario e sociale sici– liano, un potente ausilio nell'unità nazionale; ma vuolsi acldirnostrare come, in regime di propriefa privata, l'unificazione della Patria riuscisse anch'essa a mantenere il latifondo siciliano contro tutti i tcn· tativi per spe,.zarlo e colonizzarlo. La vendita dei beni ecclesiastici. - L'atto più rivoluzionario compiuto dal Governo ita– liano in Sicilia fu indubbiamente quello della sop– pressione delle corporazioni monastiche o dell'alie– nazhme della lorn immensa massa. di beni fondial'l. Non era pili compatibile con i! progresso dei tempi che circa 200 mila ettari del suolo siciliano fossero poveramente coltivati per mantenere gli ozi dei conventi e la conuzione religiosa fra le popolazioni. Ma anche quell'atto riuscì ad una colossale espolia– zione della Sicilia e a dare nuovo alimento al lati– fondismo. La borghesia italiana, affermatasi con la rivolu– zione del '60, faceva l'anticlericalismo, pappandosi fra pochi a0quirenti i beni donati per gran parte ai monaci e ai vescovi dai Comuni e dallo Stato di Sicilia; i quali beni sarebbero dovuti ritornare ai donanti, c~ssato l'uso della donazione. La borghesia trionfante aboliva la manomorta religiosa, come mezzo secolo innanzi aveva abolito la manomorta baronale, ma compiendo una nuova truffa a danno sempre dei non abbienti: la terra baronale, dove i cittadini esercitavano diriUi, divenne assoluta pro• •prietà privata, ma restando latifondo inospitale; la terra dei conventi, con la quale si compievano fun– zioni pubbliche di culto e di elemosine, anzichè convertirne l'uso per altre pubbliche funzioni richieste dai nuovi tempi, servì a creare per la maggior parte nuovi latifondi privati o ad ing1·andire gli antichi. Gli acquisti, sotto la simulata forma cli asta pub– blica, avvennero nel modo più camorristico, con la connivenza spesso degli stessi agenti demaniali, che, come tutti gli educatori del popolo siciliano, ern.no clelF~1lto Continente. Fu in quella circostanza che il popolo con fine intuito chiamò mafia la Massoneria; e, movendo a spira le ditn della mi:tno, disse fa.re Italia mui l'arraffare qualche cosa. ])'altra parte i pezzi grossi del clericalismo 1 allontanati gli umili con la paura del peccato, acquistarono per pochi baiocchi :nolte tene clei beni ecclesiastici, doman– dando la sanatoria, al ,·escovo o al Papa mercè un conveniente obolo; e poi richiesero dai contadini anche il decuplo del ,•alore di acquisto per far col– tivare le tene stesse. I fondi già ecclesiastici dati in enfiteusi redimibile, secondo i ril:!ultati dell'[nchiesta agraria, sommarono in Sicilia a 163.706 ettari per un canone annuo complessivo cli L. 5.028.875. Jnoltre furono venduti col pagamento rateale ettari 19.259 dei beni dell'asse ecclesiastico per T,, 40.167.000; ed ettari 5606 dei beni ex gesuitici e liguorini pei· L. 4.2l•L000. Simone Corico, parecchi anni prima dell'Inchiesta agraria, nella sua Stoi··ia della enfiteusi dei terreni ecclesiastici cli Sicilia calcola ,1 192 mila ettari le terre censite con la legge del 10 agosto 1862. Capitalizzando i canoni annui, ed aggiungendo il prodotto delle ven– dite, si ha che fa Sicilia, entrata nella unificazione itA.liana senza debito pubblico e senza la coscrizione militare, dovette ricomprarn per ben 150 milioni le terre che avea dato ai vescovi e ai conventi in una misura. ben maggiore che nelle altre regioni d'Italia, Nou mancarono le menti illuminate e i cuori ~e-

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