Critica Sociale - Anno XVI - n. 7 - 1 aprile 1906

102 CRITICA SOCIALE forte abbastauza per vincerle tutte, crea il senso in tutte, ad un tempo, di diritti e di rBsponsabi– lità. Invece il trionfo secolare incontrastato di una su tutte le altre, nella prima dissolve il senso degli obblighi, nelle altre quello clel diritto; nella prima crea l'anima tiranna e privilegiata; nelle altre la vecorile o l'anarchicai e in ogni modo si dissolve, Jn ambienti così diversi la rivoluzione nei me– todi di produzione doveva produrre effetti diversi. DalPun lato della l\Ianica la scossa fn vigorosa– mente sopportata, e fu relativamente pronto il ritorno all'equilibrio; <la!Paltro essa parve allar– gare rabisso, già grande, aperto dai passati regimi di privilegio e di paternalismo dispotico. Dall'un lato sorge la protesta non contro Pordine storico di cose 1 ma contro i suoi difetti; dall'altro sorge il catastrofismo, sia violento, sia a spizzico. Sul• l'trua sponda un grande albero stende la sua ombra sopra un'area sempre più vasta, sull'altra .... si vnol tagliar il tronco alle raclici. Il mio pensiero riposto dunque è ben altro e tale, che ogni giorno <li più, a mano a mano che la visione storica dell'evoluzione sociale europea si va precisando nella mia mente, mi reude molto scettico e pessimista sulla possibilità, non dico del socialismo, ma di una modesta, tranquilla, labo– riosa democrazia. non oppressa da militarismo 1 non corrosa da clericalismo, non dilapidata da un buro– cratismo accentrato, non depredata dalle razzie prot.ezionistiche; e il pem:iero riposto, terribile, come la storia che non si rifà e la vita che non si rivive, è questo (ed un'alta autorità stc,rica mon– diale con me lo divide):" L'Inghilterra e le nazioni che da essa trassero le loro origini, econom.icamente, gitu-idicamente, politicamente e moralmente, rap– presentano lo sviluppo normale di uno stato di cose, che potenzialmente era contennto in tutte le istituzioni medievali e che la tradizione impe– riale romana. e cattolica ha sul continente ritardato e deformato, sì che socialmente e politicamente le nazioni continentali rappresentano uu tipo dege– nerato di orl,!;anismo sociale, di cui l'lnghilterra specialmente è il tipo normale. n Questa idea getta una luce immensa sulla poli– tica comunale, sulla ecclesiastica, sulla finanziaria, sulla psicologia dei partiti, sul regime parlamen– tare, e, quel che è peggio 1 sullo stato mentale ge– nerale del pubblico. In ogni paese il tipo mentale 1 Ja tow-r1,1,1,red"e~p1·it, è una sola, e i varì partiti solo la applicano da punti di vista diversi. In Italia e in ]!'rancia, per non parlare d'altri paesi, non importa a q_ual partito una persona app?,rteuga., monarchica o repubblicana, socialista, radicale e perfino individualista o clericale 1 il 'metodo con cui i problemi pratici sono G[Jg1·elliti e il medesimo ed è il metodo, la tow·nii,·e mentale che è sbagliata 1 quella che non si può mutare se non lentissima– mente e non per volontà 1l'uomini 1 perchè dipende rlal potenziale di i;olontà di cui un popolo è ca– pace, come spero tli poter presto dimostrare in una recensione d'una splendida opera sul metodo delle riforme, che fu cli recente pubblicata e che ottenne un successo enorme. È l'aver c61ta questa differenza di toiwnu1·e ,m,entale per l'Inghilterra e la ],'rancia, che ha fatto scrivere al 'l'aiue !'Sullarivoluzione francese pa.giue che furono giudicate troppo severe .... da chi? Da coloro che non avevano lette le sue Note suU'Jn– !Jhiile1·1·a e la sua Sto>·ia della lelte1·atw·a in– glese, da coloro che non poterono farsi una idea di ciò che è una civiltà liberale, vivendoci in mezzo e respirandone l'aria. E il Malagodi, nel suo bel lavoro sull' I1npc1·ialisow, perfettamente oppose lo spiririto inglese al continentale, di cui il francese è tipo, di cui il Giacobinismo è l'espressione più grande, sia desso personificato in Gambetta, Cavour, Crispi, Cornbes où altri, e di cui l'origine va cer– cata da un lato nella inettitudine dei più a gover– narsi da sè, come inc1ivi<lui,come produttori, come cittadini; dall'altro nella possibilità, che ne deriva per una minoranza auclace, di menar tutti gli altri JJel naso e di sostituire il suo al paternalismo della minoranza spodestata. E nel suo libro recente Ca– laD1·ia desolata, e in una delle belle conversazioni che ho di frequente con lui, egli constatava che il materialismo storico ha ~ io generale - fatto for– tuna, come dottrina, non nei paesi _più riccbi 1 ma nei più poveri e dove i ricchi non compiono la loro funzione sociale. Il che, concludendo, mi per– mette <li chiarire uu errore sul filantropismo. Nei paesi ricchi la filantropia potrebbe conside– n1rsi come una funzione pubblica che la società lascia. ai ricchi, percbè, sfruttando l'inesauribile vanità umana e la sete <li distiuzioni sociali. essa trova così un modo rii eyitare la spesa del funzio• narismo burocrat.iéo. È la stessa ragione che rende inutile Piudeunitlt parlamentare. Nei paesi ricchi, i ricchi devono mostrarsi all'alte?.za dei tempi, dHCi cli uoniini non meno di qtrnudo guidavano le squadre in guerra. E il lo,·d e la lady, che nou fauno qual– cosa in questo senso, sono boicottati eia tutta. la società e severamente censurati dalla stampa. Cioè a dire, la società impone alla ricchezza doveri; quello che un tempo potè essere generosità indi– viduale d'una persona, pei suoi discendenti e suoi pari diviene dovere pubblico. In Francia e in Italia, le aristocrazie, invece di fondare Università e scuole come negli Stati Uniti, invece di amministrare i Comuni, come in Iogliil– terra fino al 1888, invece cli dirigere insomma in qualche modo la vita sociale, si accontentarono di vi– vere a Corte, a spese dei poveri contadini, e, invece di promuovere le imprese sociali, le inaridirono, e la loro filantropia assunse uu carattere odioso. Ma l'esempio della democrazia americana è lì a mo– strare nei Carnegie, negli Astor, nei Pullmann 1 una forma n1oderna <li aristocrazia nascente, che pone il proprio orgoglio nel favorire la diffusione del– l'istruzione. Io considero come loro degni imitatori il Loria e il Bocconi; non è egli vero che, se ogni città italiana ed ogni villaggio avessero una scuola, un museo 1 una biblioteca, regalati da privati o man• tenuti decentemente coi redditi d'un capitale privato sotto controllo pubblico - forma di beneficenza che non insidia nessuno e non richiede che amor del sa– pere da chi ne trae beneficio - si eviterebbero molte spese all'erario pubblico; e che per avere <li questi filantropi tutte le risorse della scienza araldica sarebber<i ben impiegate? Non è egli vero che se i nostri proprietarì cti terre, invece di essere assen– teisti1 dirigessero personalmente lo sfruttamento dei loro fondi e istituissero scuole agrarie rurali e tenessero conferenze, o le facessero tenere, pei loro contaòini, compirebbero una funzione socialmente utile, che ad essi, non meno che ai salariati, ac– crescerebbe ricchezza e prestigio ed eviterebbe allo Stato spese, altrimenti destinate a pesare su tutti? Non è egli vero che l'ambizione di avere la tenuta meglio coltivata, i lavoratori meglio pagati e meglio alloggia.ti - senza che essa esclucta la libertà <l'or– ganizzazione di questi - può oggi essere l'equiva– lente di quella di un feudatario medioevale, ove però la cagiou òel prestigio è nella superiorità del– l'intelligenza imµremiitrice? In un paese libero la filantropia paternalistica non può quindi sussistere i la filantropia si con– fonde con l'arte di creare il valore sociale, di alle• vare gli uomini, di addestrarli alla responsabilità, di render! i capaci di dominare le avversità e le crisi. Eri è questo Pamo1·e che io vorrei più abbon-

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