Critica Sociale - Anno XIII - n. 20 - 16 ottobre 1903

Brb 310 CRITICA SOCIALE lavoratori, elevati un po 1 alla volta dallo stato di incoscicnzo. alla coscienza dei pro1>rì interessi e del proprio diritto e che, ricordando il vano sacrificio delle rivolte antiche, hanno imparnto nel1e organiz– zazioni a stringersi l'uno accanto all'altro. Le leghe, lo federazioni danno immediatamente ai lavoratori il scuso, molte volte 1>crò esagerato, di una forza nuova - la forza.che si t1prigìonn dal numero e dalla. solidaricttt - e questa forza essi sono impazienti di vedere in azione. Dico cose notissime. Accado s1>essoche gli operai, per hl prima volta. org1rnizzati 1 sfidino i padroni piuttosto poi desiderio di provarsi, per un certo qual pruclorc hclliA"Cro,che non por un hhsogno sentito cd irresistibile di 111i,1diornmcnti.Pc1·chò la loro con– dizione può essere tristissima, ma ciò 11011 vuol dire ancon:i elle d11i lol'O animi trabocchi veramente ht piena di conscio <tSpirnzio11i.Hanno magari vissuto noncurantcmente e ve1·gognosamente nella piì.1deplo– revole depressione economica e civile por decenni o decenni: l'improvviso a1·dor di hattaglia, che sue• code idla costituzione di u11a lega., può difficilmente spiegarsi con un 1>ro1}ositodoliburnto di cle\'azionc, erompente fulmineo da personalità fin qui apatiche ed intontite. Ciò è tanto più chiaro quando Bi ricordi che tal– volta, dopo di fWere 1rnche ottenuto colla sola mi– naccia di sos1>cnsione del lavoro tutto quello che pel momento si chiedeva in linea di vant.s1ggiomateriale, si vedono operai che, pur di fare il loro sciopero, si attaccano ai vetri con domande o vessatorie o al– meno intempestive. Diciamola la verità, che non fa mai malo. Fra gli operai novelhuncnte organizzati lo sciopero ò rare volte un atto opportuno: frequen– temente invece leggerezza, quand'anche non sia ad• dirittura puerile imitazione da mestiere a mestiere. Con che io sono ben lontano dal fare requisitorie forcaiole: constato il fo.nomono e me lo spiego con quelln. stessa spiegnzione, che dio sa quante volto mi h,t salvato le spalle negli anni migliori: elf'ello (li uinventù. O1·a, ò a questo punto che la questione del come comportarsi non corro già. pili tanto liscia, mentre inco• mincirL invoco 11disegnarsi per noi una grande rc– sponsnlJilità. Se nessuno infatti può onestamente ri– tcne1·si responsabile dei moti convulsivi cli folle amorfe e caot,iche, eia quando di queste follo noi ab• bh11110 fatto delle organizzuzioni, moralmente respon– sabili della loro aziono veniamo ad essere noi. Nè questa responsabilitlL ò di sua natura tale, che pos– siam ricordarla soltanto, quando si tratti di ripetere la nostra 1>arte nei casi pros1>eri, salvo poi disco– noscerla negli avversi. No - e appunto perchè ciò non deve essere, noi dobbiamo avere ben presente sempre <1uosta res1>onsabilitt\ onde contenerci così come il sentirla ci suggerisce. Di qui il bisogno che noi ci ispiriamo, in ordine agli sciop~ri, a certi prin– cipi. . . . Prima di tutto, 1>are a mc che non dobbiamo mai lasciarci irretire dal pregiudizio, pur molto diffuso ora e pili ancora noi passato prossimo, che lo scio– pero sia buono in sò o p0l' sè, se non altro perchè cliffoncle tra i lavoratori lo spirito cli emancipazione e li abitua a guardare in faccia alle classi padro– nali. Le org'anizzazioni economiche dei lavoratori non sono costituito per promuovo1·e o combattere degli scioperi, ma per faro la guerra cli emancipa– zione, il che ò ben diverso . .rn la guerrn ò un com– plesso .... molto complesso, cli cui le scaramuccie non sono che episodi. Lo organizzazioni fanno la guena e chi presumo dirigerle non deve dimenticare mai cbe l'ottimo capitano evihi gli urti che non sieno o inevitabili o decisivi, ma in questo caso di esito as- G sicura.to. Altrimenti, mentre il vrmtaggio è proble– m atico e incerto, un danno è certo sempre. Pcrchò siamo a parlar di guerra, io traggo dal con– fronto ·un'nltra similìtudino e un altro precetto. Nel conflitto tra le classi abbienti e il proletarh,to, è lo stesso teatro della. guerra 1 cioè il campo della produzione, che deve provvedere al sostentamento dell'esercito ()rolctario, mentre l'altro esercito trae fino 1\ un certo punto le proprie risorse dalle messi per tant'anni accumulate o 1>0stein serbo nei ben custoditi castelli. Il calore della lotta uou deve spin– gersi quindi fino a tnnto che, per recm· danno al ne– mico, i l[woratori taglino i vi'l'Cri a sè stessi. Per uscir di metarora, penso che, prima cli procla– mare uno sciopero, sia nocessnrio avere colla mag– giore approssimazione davanti agli occhi il quadro delle conseguenze che lo sciopero, una volta vitto• rioso, avn\ sulla industria presa di mira. O questa le potn\ sopportarn, l'imaucndo qual'è - o dovrh contrti.rsi - o nncho soccombere. Ove sia prnvedi– bilo la contrazione, è necessario aver riguardo alla disoccupazione che ne dovrìt derivare: tanto più do• veroso sa1·lt un bile riguardo, quando si affacci an– che la possibilità della cessazione dell'industria. Questo la esperie11zl\ ci insegna avverarsi s1>ccial• mente nei conflitti rtgricoli, che alle volte detenni– nano la sostituzione di colture richiedenti scarsa mano d'opera. a quello piì1 bisognose cli mano d'opera esistenti prima del conflitto. g il buon senso più modesto ci 1>ersuade che, se ò dolorosa la condizione di cento, impiegati a. un franco al giorno, è però an– cora piìt doloroso, che dieci salgano a due franchi e novanta rimangano colle mani in mano. "Maquesto non ò tutto. Quante volte ,·odiamo av– vicinarsi lo scioJ)cro, uno spettro dev'essere sempre di- 111111zi alla nostra mente: il danno gravissimo che eia una sconfittii si ripercuote inovitahile e sulle organiz• zazioni e su di noi come partito. li valore e la bontà di un indirizzo si giudicano e non possono meglio giudical'si che dal successo: ciò ò pili che giusto. l.,a sconfitta provii che 11011 si sono esattamente pon– derate In oventualiti\ clclln lotta e le propr~e forze o lo nemiche. 1~,unti volb, che si shL stati sconfitti, ò VitllOnndnr ricorcnmlo le causo fuori di noi e di– mostrare che, so non rosse stato questo e quest'altro, si 11vrobbo i1weco vinto. 11 tradimento dei Ju·wufri, l'aziono infesta dei preti, la pa.rzialit:\ o lo ,•iolenze del Go"orno possono bene spieg-are il disastro di molti scioperi, che sarebbero stati altrimenti vitto– riosi. :Ua ciò vuol forse dire che il non a,•er prima pensato ai krumi1"i, ai preti e al Qo,·crno ci sollevi dalle spalle la responsabilità di un insucceS:iO? .·. Tutto ciò ò molto intuitivo ccl è stato detto, o senza dubbio meglio che non cla me, molte \!Olte, ma giova pur ripeterlo dal momento che, nella foga, sia pur pii'1 legittima, e nell'entusiasmo, anche il piì1 santo, viene tro1>J>0spesso dimenticato. Anche a rischio di passare per un codino, tutto quanto io vedo avvenire intorno a. me mi convince sempre meglio che il debito di noi socialisti è cli dare opera colla piit convinta tenacia a contenere, quanto è pos• sibilo, quella ha.lclanza dei lavoratori organizzati, che ò più che naturale, come dicevo, specie nei primi tempi clell,t organizzazione, ma che non ò meno pe· ricolosa. perciò. .·. La nostra responsabilità è grande e non scompare, ma è pnlpabile, anche nei casi in cui taluno cli noi, dopo di avere, siit pur senz(L volerlo, cooperato a scaldare al calor bianco delle masse già cli per sè eccitabili, si sbraccia poi per scongiurare lo sciopero, all'ultimo momento, quando non c'è più modo di

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