Critica Sociale - Anno VII - n. 15 - 1 agosto 1897

238 CRITICA SOCIALE prontati da quella boria delle nazioni, che fu così bene studiata dal nostro Vico, ma. richiamano alla mente i versi fiammeggianti di sdegno ~del Berchet contro la dominazione_ austriaca e i bollenti endecasillabi del Niccolini contro la tirannia papale. Le poesie di questi, come gli anatemi dei profeti, sono eccitamenti alla lotta, all'azione, per cace:iar via il nemico, che pei primi era lo straniero e il prete, pei secondi il falso culto. , Non parlo della poesia gnomica, fonte precipua del– l'etica ebraica anche talmudica, tutta piena di precetti di virtù attiva, fiduciosa nell'efficacia della scienza, che, come per Socrate, s'accompagna con la virtù. E molto ci sarebbe da dire sul pessimismo dell'unico pessimista biblico, dirò così, ufficiale: di Giobbe. Secondo alcuni, quel libro più citato che letto sarebbe l'espressione più alta del pessimismo e quel miserabile semita potrebbe andare a braccetto col Leopardi e con lo Schopenhauer. Nulla di più falso; intanto, il filosofo di Danzica, nelle sue numerose·;citazioni cli geni)ugubri, non1 attinge da Giobbe (per antipatia di razza forse 1) che poche e vaghe espressioni, ma non piglia troppo sul serio le sue in– vettive. Giobbe si ribella allo strazio immeritato, protesta contro i suoi consolatori che vorrebbero considerare il dolore come giusta retribuzione della giustizia, di Dio, ma, dopo il suo grido di bestemmia contro l'esistenza, contro gli uomini, contro il male, pavido e tremante s'inchina alla « forza» che l'ha prostrato, adora la volontà del suo carnefice, piange l'oltracotanza propria. C'è della vena lirica di pessimismo in Giobbe, ma il· concetto ideale è la rassegnazione volonterosa di fronte a Jàhveh, a colui elle può tuUo, cui tutto si picg:1. · I Threni sono elegie gemebonde di sofferenti che ri– con~scono di essere stati giustamente puniti: artisti– camente sono tra le pagine più belle (direi più tragi– camente ariane) della Bibbia e sublimi ben più dei Persiani di Eschilo; ma il dolore della città percossa dalla collera di Jahveh _non si trasmuta nella contem– plazione del male universale. « Poche pagine serenamente e scetticamente tranquille, quelle dell'Ecclesiaste » - dice il Ferrero. - Non tanto. Sì, l' Ecclesiaste stride col resto; quando, dopo una let– tura continuata della Bibbia, si arriva ali' Ecclesiaste, domandiamo a noi stessi col Petrarca: Qui come venni io e quando? Questo sentimento cli meraviglia è suscitato in noi dal pessimismo che infosca quelle pagine. Perchè, si badi bene, tutto il vecchio testamento è un appello all'a– zi.one; qui invece abbiamo il gelido ritornello del va– nitas .vanitatum (abel abalini) contro tutta l'attività umana. Che vale vivere, che giova lottare? Il presente un monotono ritorno del passato, il progresso una ri– surrezione di cose antiche. << Omnia feci, nihil expedit. » 11 male non cessa mai : il passato è bello per.ché non è presente; il presente è detestabile, l'avvenire rassomi– glierà al presente. Vano ogni sforzo pel meglio: il male durerà eterno. I piaceri? Puah ! La voluttà, il potere, il lusso, le donne vi fanno scontare pochi momenti cli ebbrezza con settimane di rimpianti. La scienza? Bella cosa davvero! Vi rode l'anima e vi rende accorti che l'uomo non sa nulla e non saprà mai nulla! N0n rimane altro che chinare il capo, godere la vita con la donna che amasti (come è terribile quel passato aabta del testo ebraico!), fare tutto ciò che non costa fatica, pur riconoscendo l'infinita vanità del tutto. Non c'è che dire; senza l'idea di Dio, rettore dell'u– niverso, conforme alla dottrina di Giobbe e dei Proverbi, lì dentro sarebbero i germi dei moti vi preferiti di Leo- BibliotecaGino Bianco pardi e, in una certa misura, di Heine; ma nessuno vorrà sentenziare dello spirito del Vecchio Testamento mo– vendo da quell'unico libro; sarebbe lo stesso che chia– mare pessimista la letteratura greca fondando il giu- J clizio sul famoso paragone omerico dell'incalzarsi infinito delle generazioni umane col cadere e rinnovarsi delle foglie, o sulle riflessioni tristi degli elegiaci e sui la– menti cli qualche coro di Euripide. Il Vecchio Testamento è dunque nel complesso un libro ottimista. Ne·ssun Iddio più possente di Jahveh, nessun popolo più avventurato di Israele che riposa sotto la protezione di lui. La vita quaggiù ha un grande valore; qui si rivela il giudizio di Jahveh. Meglio un cane vivo che un re precipitato nello Sheòl · (inferno biblico). Lo Sheòl è tomba silenziosa: la memoria dei defunti illanguidisce e cessa (Kohelet, passim). Non i trapassati, ma i vi vi, inneggiano al Signore (Isaia, c. xxxvm e seg., Salmi v1, 6, ecc.). La Gerusalemme terrestre non la celeste è il sospiro d'Israele. Il giusto non teme, perchè sua rocca è Jahveh; col favore di lui si mantiene incolume e saldo; se pure un esercito ac– campisi contro di lui, egli non trema; suo scudo è l'Eterno. Il concetto che l'esistenza è un'apparenza ed un peso, concetto così caro alla filosofia indiana che ne è come compenetrata, trovasi assai raro nella Bibbia. 11 de– stino dell'uomo non é quello di sprofondarsi nei gironi della morte per conquistarsi il nirvana., per dissolversi nel nulla; ma nel cingere i lombi di forza per lottare. Come poi nella Galilea, al libro dell'azione, del sursum corda!, quale è il Vecchio Testamento, sia succeduto l'ascetismo molle, sfibrante del Nuovo, non è qui il luogo di rintracciare. Alla domanda se l'ascetismo cristiano, che ha can– giato in una valle di lagrime e di miseria il luminoso soggiorno della terra di Dio, nasca unicamente dal Yecchio Testamento come esclusiva manifestazione del– l'anima ebraica, io credo che le condiz:oni attuali degli studi sulle religioni ci danno diritto di rispondere ri– solutamente di no. (La fine al pross. num.). · FELICE MOMIGLIANO. INFAVORE D LL'IMPOSTA ROGRESSI (&iepilogando) Agli articoli cli Giuseppe Bonzo, inseriti nei due pre– cedenti fascicoli, Enrico Matteucci, da Montemarciano, obbietta quanto segue: S'intende: le riforme del programma minimo - strumenti d'agitazione a dati momenti opportuna e suscettibili di venire utilmente introdotte, in date circostanze, nella legislazione borghese - non pos– sono dai socialisti svellersi dal tronco del programma massimo onde traggono succo e vita. Per sè sole, non ci stancheremo di proclamarlo, non saranno mai altro che palliativi. In ogni caso la loro effi– cacia è subordinata alle forze reali e alla coscienza di classe del proletariato. Questi sono dogmi. Ciò premesso, vediamo le due principali obiezioni del Bonzo. Favorevole a un'imposta personale, non unica nè progressiva, ma semplicemente complementare (clrn a mio avviso non caverebbe un ragno dal buco e complicherebbe inutilmente il sistema), il Bonzo rifiuta l'imposta progressiva anzitutto perché la classe detentrice del potere ricorrerebbe ad ogni mezzo per scaricarla o sui salarì o sui prezzi

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