Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 3 - dicembre 1975

Ma il problema che ora vorremmo considerare è più particolare: si può applicare il termine di peccatore, non solo ai singoli cristiani, ma anche a singole Chiese, anzi alla Chiesa universale? Può la Chiesa essere chiamata pec– catrice? E ancora di più: come può essere definito il peccato della Chiesa in quanto tale? Vi è una soluzione offerta da Agostino (ma non è l'unica soluzione da lui proposta) che risolverebbe il problema in radice: i peccatori non fanno parte della Chiesa. Quelli che fanno le opere della carne ( Galati V, 19-21) « non si pensi siano nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, per il fatto che partecipano corporalmente al suo battesimo e ai suoi misteri. Essi non sono inseriti nel corpo della Chiesa che per connessione e per contatto, cresce come una esten– sione di Dio » ( Contra litteras Petiliani, 1. II, c. CVIII, 247). La formula è ripetuta altre volte: « colui che diventa migliore è membro del corpo di Cri– sto; colui che diventa peggiore è umore maligno» (In epist. Johannis, III, 5). Ma la fede del peccatore e dello stesso eretico può essere ancora fede so– prannaturale, così come i peccati veniali dei santi sono sempre peccati. Il ri– schio di fare della carità la condizione dell'appartenenza alla Chiesa, il non distinguere tra perfezione dell'appartenenza e appartenenza, toglie il carattere dinamico della santificazione e conduce a conseguenze erronee che la storia della Chiesa ha poi messo in luce. La dottrina che solo il giusto è membro della Chiesa fu avanzata da wycleffiti e hussiti. Per motivi diversi, i luterani vedono la Chiesa come composta dei soli giustificati e, ancor più radicalmente, i calvinisti la ritengono come invisibile e composta dei soli predestinati. Ciò condusse i teologi cattolici a prendere maggiore coscienza della profonda realtà che unisce il cristiano peccatore alla Chiesa. Il concilio di Trento condanna coloro che dicono che « colui che ha la fede senza carità non è cristiano » ( Ses– sione VI, canone 28). Più tardi la S. Sede condanna le proposizioni di Quesnel (dalla 72 alla 78) perché esse rifiutano implicitamente di riconoscere il pec– catore come appartenente alla Chiesa. La formula agostiniana ha tuttavia con– dizionato lo sviluppo della teologia. S. Tommaso stesso ne ha sentito la diffi– coltà .. Nel commento alla lettera agli Ef esini ha interpretato la Chiesa « senza ruga né macchia» di cui parla l'Apostolo in relazione sia alla Chiesa mili– tante sia alla Chiesa trionfante; nella Summa limita il riferimento alla Chiesa trionfante. Ciò indica che egli non considera « senza ruga né macchia » la Chiesa militante, appunto perché avverte che in qualche modo i peccatori ne fanno parte. Mentre nel Commento alle Sentenze (dist. 13, q. 2, a. 2) S. Tomma– so aveva affermato che i peccatori sono membri della Chiesa « non veramente, ma equivocamente», perché « partecipi della unità della Chiesa, ma non del– l'unità del corpo della Chiesa> (si esprimeva così letteralmente secondo la formula agostiniana), nella Summa ha poi preso coscienza della complessità del problema e afferma che i peccatori fanno parte della Chiesa « imperfetta– mente, con una fede informe, che unisce a Cristo in qualche modo e non asso– lutamente (secundum quid et non simpliciter), non cioè nel modo con cui l'uo– mo riceve attraverso Cristo la grazia > (III, q. 8, a. 3). La soluzione agostiniana non si è imposta perché rischiava di ridurre la Chiesa alla società dei giusti (Huss) o alla società invisibile dei predestinati (Calvino). Occorre sostituire al concetto statico di santificazione, proprio della soluzione agostiniana, il con– cetto più dinamico, che era del resto proprio della maggioranza dei Padri. Essi bibli 4 aginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=