Massimo d'Azeglio - Ai suoi elettori

5l Sarebbe lo stesso che domandarmi come si distingtte il gracidar de' ranocchi dalla voce della bufera e della tempesta. Nnn lo vedemmo forse tutto il popolo nella sua potenza, nella sua maestà l'anno scorso? N,on lo vedemmo tutti per l'intera Italia sorgere unito, compatto, innumerabile nella manifestazione òe' suoi desiderj, della sua allegrezza per la nuova aur·ora che si levava lucente sulla terra itatiaua? Non vedemmo a Roma, a Firenze, a Genova, a Tor)no., le piazze, le ,,ie, le chiese, i teatri rigurgitare dell'onda del popolo? le cnmpagne, i pnesi, le ville piene di feste, di canl.i, di bandiert:'? pieni i cuori di gioia, gli occhi di lacrime, le bncche d'evviva e di grida che salutavano un'età nuovn, un nuovo cielo, una terr~ · nuova? Non bastava vedere quell'immenso commovimento, quelle fronti sicure, quegli occhi arditi e set·eni per h•ggervi un sentimento comune, vero, prof<;>ndo; un desiderio unico, una speranza sola? E che cosa agita e suscita il popolo, il popolo vero, l'uni,·ersale; se non un sentimento vero, profondo, comune che esprima un bene renle per tutti, sentito, inteso e voluto da Lutti, sospirato da tutti? Quando uno di siffatti sentimenti si destn nél popolo, allot·a si vede sorgere il popolo reale, allot·a appaiono le grandi manifestnzioni di Roma,

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