Lancillotto Thompson - Il Risorgimento italiano e gli irredenti

- 29 - per sentire, e quindi avevamo pienamente il diritto di salutare con gioia questo avvenimento; e come italiani pere'hè (quantunque formanti parte di un consorzio politico diverso) non ci era interdetto di partecipare alle gioie ed ai dolori della patria comunen. e iudizio di Cabriele Rosa. Coloro poi che scriveranno la storia dell'Italia Irredenta dal 1870 a questa vigilia del suo riscatto dovranno constatare quanto fosse nel vero Gabriele Rosa, quando scriveva commosso, ammirando : << L'agitazione degli Istriani, de' Triestini, de' Trentini e dei Dalmati delle città marittime per iscuotere il giogo slavo-tedesco ra!Jlmenta e ripete quella de' Lombardo-Veneti dominati dall'Austria. n Oberdan. E s'inchineranno davanti alla splendida figura di Guglielmo Oberdan. In tutto l'eroico martirologio italiano non troveremmo eroe che lo superi. Più si studia più grandeggia, più si rivela moralmente perfetto, più muove ad amarlo. A Lui, quando si accingeva al sacrificio, non sorrideva la nuova aurora italica dei carbonari, non il meriggio delle grandeggianti lotte. La Nazione era fatta per quanto incompiuta, la Nazione in quel momento era stanca, la Nazione non guardava oltre l'Isonzo. Taluni facevano le maraviglie che Trieste (la patria di Samuele Romanin) parlasse italiano; altri, o immemori o ingrati, le rimproveravano la mancanza di un martire : laonde Trieste dicevano, non aveva l'animo di Milano o l'Austria non era più quella di Milano. In Oberdan, nel vespro del Risorgimento, rivissero i martiri della sua aurora e del suo meriggio. In lui solo fu la fede di tutta la Nazione. Ci voleva un martire, si disse pronto. Dalle travi del patibolo riaffermava l'italianità di Trieste nella B bhotee,aGino 81c1nco

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