Lancillotto Thompson - Il Risorgimento italiano e gli irredenti

1 •1 23 • 12 luglio 1915 PUBBLICAZIOSNETTIMANALE ContoCorrentecon la posta B

M "'~ -ti - -\-\ -~ \ ~ PROBLEMI ITf\LllìNI XXIII. Lf'iNCILLOTTO THOMPSON IL 'y RISORGIMENITO IANO E GLI IRRE MILflNO RflVfl & C. - EDITORI 1916 B•blioteca Gino B1dnco

PROPRIETÀ RISERVATA TIP.LIT.RIPALTA•MILANO Biblioteca Gino B1dnco

Lancillotto Thompson è un fiorentino che negli anni nostri più indolenti e rassegnati ha sempre, con l'opera e cogli scritti, tenuto desto il ricordodelle terre italiane di là dal provvisorioconfine politico. Di questi suoi scritti ottimo è quello sull'«Italia irredenta nel Risorgimento» composto soprattutto pei consigli di Rinaldo Caddeo. In esso, come in questo opuscolo, egli prova quanto stretti sieno stati durante tupo il nostro Risorgimento i legami di sangue, - di sangue versato sui nostri campi di battaglia - che univano nei pericoli, nella morte, nella speranza quelle terre ancòra non redente al giovane Regno. L'EDITORE. B•blioteca Gino B1dnco

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xoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxo L' Italia irredenta. Per Italia Irredenta intendiamo quelle tçrre italiane che, liberata Roma, durarono sotto signoria straniera ; e più specialmente talora le rimaste all'Austria; vale a dire il Trentino, la Venezia Giulia ed anche la Dalmazia, appendice d'Italia: «sua figlia minore», come la chiamò Bajamonti, << seconda It11lia» come la definì Tommaseo. Di queste terre appunto verranno qui brevemente rievocati uomini e fatti dal 1814 al 1870, ed oltre. Cospirazioni.- Un martire. A dimostrar!! come e quanto in esse si cospirasse, come i patriotti delle aJ.tre regioni se ne interessassero e l'Austria di tutto ciò si preoccupasse, basterebbero i rapporti della polizia austriaca. Da essi rilevfamo fra altro che, nçl 1817, a Milano veniva sorvegliato Natale Bossovich, dalmata e carbonaro; che nel 1822 a Bologna la Svcietà Latina statuiv<t che l'Istria con T~ieste avrebbe formata una regione propria (la dodicesima) nella ripartizione massonica del- ) 'Italia ; che nel 1847 si dava singolare attenzione a confidenze secondo le quali il partito riv_oluzionario tentava di << suscitare nel Tirolo meridionale un 'agitazione politica e predisponeva una sollevazione ». Di quest'epoca vanno ricordati con gratitudine non solo i nomi di letterati patriotti quali Antonio Rosmini, Gio81bhoteca Gino Bianco

-6vanni Prati, Domenico de Rossetti, Pier Alessandro Paravia ed altri; ma quelli di Giovacchino Prati, trentino, forte cospiratorè che si adoperò a stringere vieppiù i vincoli che univano le società liberali italiane a quelle di fuori ; di Giulio Sandrini, goriziano, impiegato alla cancelleria aulica di Milano il quale, tutto rischiando, teneva informati i liberali degli arresti ordinati e di quant'altro poteva interèssarli ; di Giulio Canal, triestino, che per avere agevolato la fuga ad Attili0 3andiera (dalmata rer parte di madre) veniva gettato in carcere e ridotto a morte pe' patimenti. 11 Trentino nel 1848. Ma eccoci al 1848. Il 19 marzo Trento si muove. I popolani innalzano il tricolort, chiedono l'aggregazione al Lombardo-Veneto, mettono in fuga la Guardia Daziaria che li aveva presi a fucilate e demoliscono gli uffici daziarii. II dl successivo il Municipio manda un indirizzo fraterno a Mantova e istituisce la Guardia 'Nazionale ... Ma le belle illusioni durarono poco; fu proclamato lo Stitio d'assedio, seguito dall'arresto dè' più cospicui cittadini e dalla fucilazione di ventun volontarii dell'Allemandi che erano stati fatti prigionieri. Anche ad Ala, a Rovereto, a Riva, in altre località era stato innalzato il tricolore; ed a Tione costituivasi un governo provvisorio con a capo il benèmerito patriotta Giovanni Marchetti, fondatore di quella eroica Legione Tr~ntina che andava in battaglia cantando: Giunta è l'ora del grande riscatto. Sfìderem le fatiche e i perigli; Che d'Italia siam liberi figli Noi saprem con la spada provar ... Fin da allora si distinse pèr il suo valore Nepomuceno Bolognini mentre altri trentini, quali Michele de Francisci, Leonardo Campestrini e il poeta Andrea Maffei, prestarono l'efficacç opera loro 11ifratelli milanesi nelle cinBiblioteca Gino Bianco

-7 que ~ornate. Un altro, Luigi Rossi, colto poi colle armi in pugno fra i difensori estremi dell'eroica Livorno, veniva dagli austriaci fucilato. Intant,o altri trentini ancora, quali il poeta Antonio Gazzolet/i, Sigismondo Manci e Lorenzo Festi peroravano la causa del Trentino presso rè Carlo Alberto ... Notèvole è la narrazione di Giuseppe Montanelli d'una gita da lui fatta nel Trentino nell'aprile del 1848 per incarico del Governo di Brescia : « Entravo di notte nei paèsi colle tasche piene di proclami. Trovavo in una casa raccolti gli amici venuti da diversi punti coi quali bisognava intenders.i; facevano lieta accoglienza ali 'italiano delle rive dell'Arno che raccontava loro i particolari ignorati dal sollevamento Lombardo. Non lasciavo un luogo senza averlo ben disposto per noi, e così di alpe in alpe proseguii sino a Trento dove andai lì lì per essere archibusato ... Verso sera entravo a Trento a piedi parendomi che i poliziotti non badassero a me. Dopo un cento di passi varcata la porta mi sento arrestare. « Misericordia! Ci sono n, dissi fra me. Carte purtroppo non me ne mancava. Ma che carte! Avevo le tasche piene di proclami, e fra gli altri ce n'era uno mio, e tutto scritto di mio pugno, chè aveva divisato di stampare clandestinamente in Trento. Perso per perso volli fare un tentativo. Mi piantai lì su due piedi, e con tuono risoluto protestai ai poliziotti che non mi sarei mosso per andare al comando militare se non mi accompagnava la Guardia civica. << Da cosa nasce cosa n, mi dicevo fra me. E uno di quei poliziotti, dopo avere oscillato come cosa che ha perso l'equilibrio, andò a pigliare un civico, al quale mi consegnarono coll'ordine che mi accompagnasse al Comando militare. Squadro il mio civico, e senza preamboli gli dico all'orecchio: « Alla faccia mi parète un galantuomo, sappiate che mi conducete alla fucilazione. Son Montanelli, fo parte dei corpi franchi, ho le tasche piene di fogli rivoluzionarii, e se mi consegnate al Comando militare in quattro e quattro otto sono spacciato n. Non sto a dire chè cera facesse il brav'uomo a questo tocco di confidenza... « Ma come fare? Sono obbligato a render conto ». Ed io a ripetere : « Fate quel che volete, v'ho detto di ch,.esi tratta ». Arrivammo a un corpo di guardia Biblioteca Gino Bianco

-8e il mio accompagnatore vi entrò dentro difilato, tome: per ispirazione subitanea, dicendomi : « Ebbene, sV. quel che si vuole, la prendo sopra di me » ; e deponeva lo schioppo e piantava al capo-posto che essendo di guardia alla porte deJ'lacittà, io gli avevo domandato di up certo ... di Trento, che avevo bisogno d'un legale pei miei affari, ed egli si era offerto a condurmici... Il capo-posto!andò in bestia e si mise a fargli una partaccia, rimproverandolo di avere mancato al proprio dovere. Mentre si bisticciavano, adocchio un giovane lì presente che, a un garbo che mi fece, mostrò avere indovinato quello cht ci era sotto. Io me lo presi a braccetto e andammo dov'era necessario, e due ore dopo per opera di quelli amici ero salvo fra le montagne. Che piacere quando a Condino rividi i tre colori dei Corpi Franchi! Mi pareva un sogno ». A' prigionieri toscani di Curtatone fece Trento le più calde dimostrazioni d'affetto. Narra Federico Morelli che alla loro partenza per recarsi alle prigioni d'oltr'Alpe « per le finestre, per le vie si vedevano giovani, vecchi, preti, donne, ragazzi, tutti a farci segni non dubbii d'affetto e di santissima compassione. Qui dalle finestre piovevano elemosine da per tutto : chi dava quattrini, chi pane, chi quello che meglio credeva; e lungo la via chi dava vino, chi acquavite, chi tabacco, e chi salame e pane; era una gara fraterna che movea al pianto, tanto più ammirabile quant'era più pericolosa ... e sia a bassa voce ed anche talvolta a voce chiara e aperta, or uno or altro ci diceva : «Viva l'Italia! Viva i Toscani! Viva i fratelli! Dio vi accompag_ni! Dio vi assista e vi ·liberi da questi scellerati ! Dio salverà l'Italia! ». Un altro prigioniero, Tarugio Tarugi, rievocava ·quarant'anni dopo le stesse scene: « Uscimmo di Trento con la mente e il cuore sconvolti e io, in cuor mio, non faceva che riflettere come fa il governo austriaco a tenere una città come questa sotto la sua soggezione. Se tutte le città d'Italia fossero come Trento non ci sarebbe potenza al mondo cht la potesse dominare! E non basta qui. Nel Trentino, per la campagna. spesso incontravamo in istrada giovani e vecchi che ci abbracciavano piangendo e dicevano : « Ci hanno levato le armi, ma non tutte. no; vedete dove le abbiamo? » accennando ai monti. Poveri trentini!», Biblioteca Gino B1c1nco

-9Come ebbero raggiunto il Brennero : « In quel culmine, narra il Tarugi, è un termine alto circa quattro metri, e in quel termin~ tutti scrivemmo il nostro nome. Lo baciammo con entusiasmo, o come per dire addio all'Italia nell'atto di mettere il piede in terra straniera o perchè ci accarezzassimo la speranza çhe un giorno la nostra patria avrebbe raggiunto quel suo confine naturale ». Agitazioni nell' Adriatico orientale. Anche a Trieste e nell'Istria si agitavano. Il 16 marzo 1848, giunta a Trieste la nuova delle sommosse di Vienna, il popolo improvvisò una manifestazione di gioia e arse il ritratto di Metternich. Il dì seguent~ nuove dimostrazioni per la proclamazione della Costituzione. Il 18 alcuni patriotti, noleggiato un vapore del Lloyd, rtcarono la notizia a Venezia, dando luogo a manifestazioni fraterne. Sorsero varii giornali liberali, furono tenuti dei comizi. Queste agitazioni furono presto represse, ma non solo misero in luce il triçstino Leone Fortis e il raguseo Federico SeismitDoda, entrambi saliti poi a bella fama nazionale; ma fecero risaltare i meriti e crebbero il prestigio di Francesco Hermet, Costantino Cumano e Niccolò de Rin, chiamati tutti a rendere alti servigii alla regione Giulia. Cantavano i triestini a' be' giorni quarantotteschi: Fra il sangue e le feste Venezia a Trieste per sempre s'unì... Chè tutti educati d'Italia ai bei soli Di un'unica madre noi siamo figliuoli, E' pari l'accento cui il labbro risponde, Ci bagna le sponde medesimo mar. E i goriziani dal lato loro cantavano : Non è immemor Gorizia di Dio Che la pose nel sacro recinto, Non è ver che in Gorizia sia estinto All'Italia e alla gloria l'amor! ... 81blloteca Gino Bianco

-10E a conquistarsi la gloria accorrevano i goriziani sotto le bandiere d'Italia ; distinguendosi, fra gli altri, Alessandro Clemencich, Antonio Steffaneo-Carnea e Francesco Scodnik .che raggiungeva poi il grado di generale. Nè se nt stava inerte la Dalmazia. Le fiere popolazioni, che fino all'ultimo avevano tenute alte le bandiere della Serenissima e le avevan sepolte piangendo nelle loro chièse, si appuntavano al petto la coccarda tricolore, organizzavano ovunque la Guardia Civica, cacciavano il pretore (carica politico-giudiziaria) di Traù e liberavano dal carcere Antonio Bajamonti e Pietro Savo i quali, con l'avvocato Nani e Giulio Bajamonti (morto per una infiammazione presa nel fervore dell'azione), erano a capo del movimento italiano. Ma purtroppo sul più bello, e lo fa rilevare l'Anelli, mentre da un lato Radetski si congiungeva a Nugent e portava la guerra ntl Veneto, un altro poderoso esercito volava a reprimere sul nascere i moti dell'Istria e della Dalmazia. · Preoccupazioned'illustri patrlottl per •le terre Irredente. Delle sorti di queste terre e del Trentino si preoccuparono vivament~ i nostri maggiori patriotti : Carlo Cattaneo il quale tentò invano di far conservare l'unità di stato di Milano colla Venezia, il Trentino, la regione Giulia e la Dalmazia : Mazzini che sosten~va non doversi cessar la guerra >finchè sveqtolava una sola insegna straniera al di aua delle Alpi dal Varo a Fiume: Guglielmo Pepe che scriveva a Carlo Alberto che, benchè avverso per istinto ai principi, sarebbe stato il primo a salutarlo re d'Italia il giorno in cui avesse varcato l'Isonzo : Daniele Manin che a' Veneziani insorti ricordava come il nome « Repubblica » destasse ancora ben forti simpatie nelle menti de' fratelli dèll'Istria e della Dalmazia. 8 blioteca Gino 81dnco

- 11 - La flotta austriaca nel 1848, Ma a deludere tante belle speranze contribuiva anche un altro fatto. A Venezia, appena risorta, sarebbe stato sommo vantaggio far sua la flottiglia austriaca ancorata nel porto di Pola : « austriaca di nome, giustamente osserva lo storico Henri Martin, ma veneta di fatto, composta di veneti e dalmati, la piccola squadra avrebbe accolto senza esitare l 'app~llo di Venezia. » E infatti la Commissione governativa provvisoria si apprestò subito a mandarle dei dispacci con l'unico vapore di cui disponeva. Allora l'ex-governatore Pallfy, cui era stato promesso d'imbarcarlo sollecitamente, chiese di poter approfittare della partenza e la Commissione benevolmente annuiva, ordinando al capitano di sbarcarlo a Trieste dopo avere, s'intende, portato i dispacci a Pola; ma però mal ne incolse alla commissione stessa chè una volta in alto mare il Pallfy e il suo seguito, imponendosi al capitano, lo costrinsero ad andare subito a Trieste. Quindi, come osserva il Martin, giunsero a Pola i dispacci austriaci in luogo dei veneziani; i forti della città, primi avvisati, impedirono alle navi d'uscire dal porto; la bella occasione era purtroppo perduta. «Qualunque piega - conclude il Martin - avesse preso la guerra l'Austria, una volta toltale la squadra, si sarebbe trovata nell'impossibilità di muovere contro Venezia qualunque tentativo di blocco; bensì avrebbe Venezia bloccato Trieste, preso forse Pola e Fiume e sollevato l'Istria e la Dalmazia ove le più ardenti simpatie vibravano per lei. » Cli irredenti in difesa di Ro• ma e di Venezia, Molti irredenti accorsero alla difesa di Roma. Pilade e Narciso Bronzetti emersero fra i forti trentini. Giacomo Venezian triestino riporta ferita mortale a Villa Biblioteca Gino Bianco

- 12 - Spada mentre combatte, come dice il Guerrazzi, « come uomo che abbia fede stiano a guardarlo gli eroi ». li nobile poeta Filippo Zamboni, suo concittadino, capitano valoroso della Legione Universitaria, riesce a salvare la bandiera della legione, la custodisce nell'esilio tra pericoli e la rènde poi a Roma libera. Nell'atto di restituirla rammentò commosso : « La santa bandiera! Essa che nel 1848 mosse da Roma con noi che fummo vanguardia delle vanguardie dei volontarii; che sempre alla testa di tutti quei corpi fu nel fuoco a Cornuda, a Tr~viso, a Venezia, nelle tre giornate di Vicenza, e sempre negli avamposti di porta Sambartolo, Santalucia, porta Croce, al primo avamposto della Rotonda e sui Monti Berici; e che da ultimo passò alzata e sventolante pel campo di quarantamila assedianti ; che poi, dalle Romagne portata, acoorrè a Bologna a marciè forzate quando gli austriaci l'avevano attaccata ... che nel '49 fu portata ali 'assedio del Quirinale ... che nel 30 aprile a Villa Pamfili, nel giugno sopra i colli Parioli, indi a Palestrina, fece parte della grande epopea nazionale, duce il guerri~ro delle nazioni, il maggior poeta di libertà, Garibaldi... Ecco, io ve la rendo incontaminata, come sul campo così sul mio petto. L'ho portata con me occulta per anni, cucita nelle vesti n. Nota pure lo Zamboni che i colori della bandiera, anzichè verticalmente, erano disposti orizzontalmente, poi esclama: « Oh dolcissimo errore! Come un errore virginale, ma pur sempre leggiadro. Allora al primo grido di guerra non si conosceva neppure la disposizione officiale dei colori dell 'itala bandiera. A noi candidi giovinetti bastava un segno, il benedetto tricolore per raccogliere tutti a combattere per l'Italia. Non sapevamo come dovèva esser fatta l'Italia. Ma sapevamo che c'era, e eh 'era divisa, e che doveva rifarsi. La croce vermiglia nel mezzo· è il segno della santa crociata n. Allo Zamboni ebbe a scrivere il guerriero delle nazioni, il maggior poeta di libertà, Garibaldi : « Io mi sono Sèntito orgoglioso d'essere italiano e d '1iVer combattuto accanto ai prodi trecento che spiegarono il glorioso vessillo al cospetto dei fed.ifraghi soldati d'un tirannon. E poi: «Voi la salvaste la bandiera della gioventù italiana con pericolo della vita vostra preziosan. B·blioteca Gino Bianco

- 13 - Ed anche a Venezia si segnalarono gli irredenti, primo fra tutti Niccolò Tommaseo. il dalmata grandissimo. deputato, ambasciatore, ministro della Repubblica; e Giovanni Orlandini triestino, auditore maggiore del Governo provvisorio e capitano dei cacciatori del Sile; e Marcantonio Borisi istriano, che in una sortita da Mestre toglieva al nemico più ppzzi di cannone; e il capitano Federigo Martini trentino, che pugnava strenuamente a Marghera; e il milite Francesco Marusiè fiumano, che a Marghera eroicamente cadeva; e Luigi Seismit-Doda e Giorgio Caravà, dalmati, futuri gtnerali dell'Esercito Italiano. 11Parlamentodi Francoforte e la Costituentedi Vienna. Ed anche al Parlamento di Francoforte e alla Costituente di Vienna innalzarono gli irredenti la loro voce per I 'I talia. A Francoforte il barone abate Giovanni a Prato, roveretano, chkdeva il distacco del Trentino ,1ella Confederazione Germanica o, quant() meno, dal Tirolo e diceva tra altro: « Osservate, o signori, i due distretti di Trento e Rovereto; guardate i prodotti del nostro suolo : olio, vino e seta; i costumi, il linguaggio, italiani; la coltura, la storia letteraria, italianan. Alla stessa assemblea un rappresentante tedesco, SchuIer da Innsbruck, doveva constatare irosamente: <' Nel Tirolo meridionale si è formato un partito di italiane simpatie assai pronunciato. Questo partito fu molto attivo e così agitatore che esso, quando scoppiò la guerra italiana, occasionò l'invasione dei franchi tiratori ». Un ·altro tedesco, Kohlparzer da Neuhaus, sentenziava senza tanti ambagi : « Io dico solo: Beati possidentes. Noi possediamo il Tirolo meridionale, e perciò ce Io teniamo : questo è . il mio diritto dei popoli. n Più equo Vogt da Giessen : « Si dice non essere possibile lasciarci torre la porta di casa per ragioni eh 'io non conosco. Se questi motivi sono veri, ritenete alla B•bhoteca Gino 81dnco

- 14 - .. buon 'ora, queste provincie nella Confederazione. Ma se noi sinceramente vogliamo, o Signori, che gli abitanti di quelle provinciè siano nostri buoni amici e si uniscano a noi intimamente concediamo loro ciò che domandano, cioè una rappresentanza nazionale, una nazionale amministrazione ». A Vienna il deputato di Trieste, Ignazio Hagenauer, dichiarava : « Io sono un deputato d' Italia ». E quelli dell' Istria, Madonizza, Facchinetti e Defranceschi, in una protesta scritta dichiaravano: « L'Istria dèsidera che si sappia eh 'ella, piuttosto di porre in pericolo la propria nazionalità italiana, rinuncia alla promessa e al fatto di qualunque materiale vantaggio che potesse derivarle dalla' Confederazione Germanica ». Nuove lotte. P&trlotti Irredenti carcerati, Le vittorie dell'Austria non significarono tregua, neppur breve, alla lotta. Giovanni a Prato fondava i·l « Giornale del Trentino », Carlo Favetti il « Giornale di Gorizia »; e l'Austria Ii sopprimeva. Insediava a Trento il Pejasevich, a Trieste il Gorizzutti·, H terribili proconsoli, dice Augusto Vecchi, mandati sulla terra italiana a martirizzarne i già liberi agitatori ». Nominava cavaliere il boia di Rovigno. Istituiva pel Trentino una Corte speciale pei delitti politici... Molti irredenti venivano mandati in carcere a scon• .tare il loro patriottismo : quali i trentini Vincenzo Maccari, Scipione Salvotti, Giuseppe Campagna e i fratelli Igino e Giuseppe Sartena il quaie ultimo, pei maltrattamenti subiti. smarriva la ragione. Vi lasciavano la vita il chirurgo Clemente Clementi, pure trentino, e l'istriano Alessandro Vucetich cui, per le benemerenze patriottiche, era stata conferita la cittadinanza veneziana ai tempi di Danièle Manin. Costantino Ressmann, triestino e già combattente per l'Indipendenza, condannato in contumacia dal Tribunale B.blioteca Gino Bianco ' ·.

- 15 - · Mantova, riparava in Piemonte e s'illustrava in seg ito nella diplomazia. E senza effetto rimase pure la co danna a morte pronunziata Op! 1848 contro il trentino Ba olomeo Grazioli, il quale imprendeva allora lunghi viag i e ne riportava curiosità asiatiche di cui- dotava il Mus Civi<:o di Trento; e riprendeva il suo posto di comba~imento e si adoperava all'incremento dell'agricoltura ne)\!1sua rpgione. A Gortjzia il Presidente Circolare vergava una notificazione 'contro le foggie di-vestire che gli sapevano di liberale : (( Il portare vestiti, diceva, che per la loro singolarità si distinguono dall'ordinario costump ... non è da tollerarsi ». E neppure in Dalmazia la polizia se ne stava inoperosa. Fu arrestato Giuseppe Griolli, sorvegliato strettamente Enrico de Grabau, costretto alla fuga Carlo Boscovich. Cli irredenti nel 1859. Le più grandi speranze animavano gli Italiani alla vigilia della guerra del 1859. Vincenzo Salvagnoli, in un memoriale a Napoleone III, affermava che l'Italia ricostituita doveva comprendere le coste della Dalmazia. E Carlo Cattaneo ricordava agli Inglesi, per mezzo del Times, che la dedizione della Dalmazia alla Repubblica Veneta era avvenuta molti anni prima della venuta in Inghilterra di Guglielmo il Conquistatorp. In gran copia, malgrado le baionette che assiepavano le loro terre, accorrevano i giovani irredenti ad ingrossare le file italiane, segnalandosi fra tutti il capitano Narciso Bronzetti, trentino, che a Spriate con 94 uomini metteva in fuga 1200 austriaci, e cadeva poi mortalmente ferito a Treponti, spiegando tale valore che Garibaldi Io proclamò (( prode dei prodi ». Una deputazione trentina recavasi da Vittorio Emanuele: « Permettete, o Sire (dicevano), che anche gli Italiani della provincia di Trento vengano ... a ripetere che là pure siete aspettato e sospirato liberatore e re. » 81blloteca Gino B1dnco

- 16 - Le donne dell'Istria mandavano una bandiera e indirizzo nel quale dicevano: « Sono le donne dell'lst a le quali. pegno di loro Jagrime, mandano questo la ro di certa salute, ricordaIJdo che l'Istria fu sempre ita ana da quando Roma le affidò il varco più geloso d' talia fino al giorno in cui ella sotterrò l'adorato stenda o di San Marco. » E a guerra finita il Trentino chiedeva l'aggr gazione al Veneto con lo scopo di dividerne la sorte 111 giorno in cui venisse riunito all'Italia; e l'Istria ne seguiva I 'esempio. Un notevole acci:)nno a Trieste lo troviamo in un carteggio dalla Venezia, inserito ne,1 Pungo1o del 14 agosto 1859: « I prigionieri franco-sardi furono argomento di incontri e collette in tutte le nostre città. Perfino Trieste, la fedelissima città dell'Impero, diè prove luminose nel loro passaggio dello spirito che anima la maggioranza, spirito che non è ,certamente tedesco, ma bensl italiano e fortemente italiano. Il fatto si è che adesso i prigionieri non attraversano più la città, ma si fanno passare per altra via onde torre al popolo una causa frequente di_ dimostrazioni. » Giovanni Orlandini, antico editore della Favilla e difensore di Venezia, ritornava a Trieste e veniva tosto arrestato sotto l'accusa di avèr favorito l'emigrazione. Un altro cittadino subì la medesima sorte per le molte carità che faceva e davano a dubitare eh 'ei tentasse farsi un partito. Fu perfino negato il Ginnasio Italiano, sollecitato dal Municipio in seguito a petizione cittadina, e decretato non essere applicabile a Trieste l'ordinanza sovrana con la quale permettevansi in tutto l'Impero i ginnasii · nelle lingue dei rispettivi paesi. . Cli Irredenti nel 1860. All'appello di Garibaldi pel milione di fucili le terre irredent~ risposero con entusiasmo. Alcuni popolani del1'Istria, mandando la loro offerta alla Perseveranza, scrivevano: ccDite all'Italia, dite a Garibaldi, dite al Re Biblioteca Gino 81dnco

- 17 - nostro che quanto ci avanza di danaro e di sangue è per loro. » A Trieste, presso certo Brilli, la polizia sequestrava 3000 fucili. Venivano posti sotto sequestro i beni degli emigrati dell 'lstria e del Trentino. Oltre v:enti irredenti parteciparono alla spedizione dei Mille. Al soggiorno fatto da Garibaldi a Villa Spinola nella primavera del 1860 collegasi un episodio gentile riguardante due volontarii trenti-ni; e Jack la Bolina lo ricorda cosl: «Un giorno due uomini valicano il cancello della villa. Erano laceri, polverosi, stanchi, r~canti· sui volti e sulle persone le traccie di un lungo ed aspro cammino. I congiurati - che tali erano gli abitatori del palazzo giallo - temevano qualcuno attentasse alla vita del Generale, sì che chiunque giungeva era interrogato. Alle usate dimande d:el Vecchi risposero in dialetto (che subito non fu compreso) com'essi fossero del Tirolo, là dove il favellare italiano termina e il tedesco incomincia, come fossero giunti a piedi elemosinando lungo la via perchè avevano udito ch:e Garibaldi voleva far la guerra. Avevano lacrime nella voce. Vecchi esitava, sospettando un trapello; tanto più che essi chiedevano di vedere il . Generale. Ma questi uscì da una stanza, .. grav:e, sorridente e tranquillo come coloro cui il fato riserba la prossima vittoria. Essi buttaronsi in terra ginocchioni come pellegrini giunti di fronte al simulacro del Dio temuto ed adorato. Garibaldi chiese loro donde veniss:ero ed ascoltò l'ingenuo racconto di quel loro viaggio; li confortò e volle fossero immediatamente soccorsi di denari e di abiti. Furono dei Mille. 1> Giuseppe Cesare Abba, insign:e storico dei Mille, ha tratteggiato da pari suo il profilo di varii suoi commilitoni trentini : di Camillo Zancani dalle tempie già grigie, e di cui « le rughe profonde dalle nari agli angoli della bocca dicevano che egli sapeva il dolore da un pezzo», ma che pure aveva l'aria « quasi lieta e pareva dicesse continuamente a se stesso : Allegri e avanti n ;. di Attilio Zanolli « sempre giovan:e, sempre largo del suo gran cuore che, bello com'era, avrebbe dato da mangiare a spicchi a tutte le belle »; d'Enrico Isnenghi << semplice come acqua d'!lltissima vena, umile in tutto come un fra Biblioteca Gino Bianco

- 18 - ticello di quelli a cui San Francesco diceva per via le sue soavi cose »; di Filippo Tr.anquillini, « fiore di gioia e di cortesia da star in-un canto di gesta )); di Filippo Manci, la finezza del cui viso « era così virginale, che se non fosse stata la prestante persona si sarebbe detto che era una donzella in divisa di guida », ·e così amante del pericolo che « per un rischio in cui ci fosse stato da contendersi il posto era capace di corrucciarsi col più caro degli amici )); di Ergisto Bezzi che pareva il Ferruccio « staccatosi da una tela del Cinquecento, per venir vivo a veder che cosa sapessimo far noi, dopo aver tanto cantato col Mameli d'aver il suo cuore, d'avere la sua mano ll, e ,che « meriterebbe da solo che giustìzia di popoli desse all'Italia la terra di Trento dov'è· Cusiano, il borghetto in cui nacque ». Del Friuli Goriziano, e anch'essi dei Mille, erano poi il valente ingegnere Cesare Michieli ; e Francesco Bidischini, futuro cognato di Menotti Garibaldi, uno de' bersaglieri che a Santo Stèfano poterono nascondersi sul Piemonte; e M.arziano Ciotti ·e Giovanni Bertossi e Alfonso Morgante che tutti e tre si guadagnavano la medaglia al valore nell'eoica battaglia del Volturno, il giorno stesso in cui a Castelmorone cadeva Pilade Bronzetti, fratello di Narciso, « ripetendo uno di quei fatti (così Garibaldi) che la storia porrà accanto ai combattim~nti dei Leo~ nida e dei Fabi. )) Intanto da Trieste, dall'Istria, dalla Dalmazia la gioventù correva ad arrolarsi sotto i vessilli d'Italia. E l'Austria reagiva. Michele Buono, barese di nascita e triestino d'adozione, organizzatore d'un comitato segreto d'arruolamento in Trieste, veniva dal Consiglio di guerra condannato alla pena di morte cui però tenne dietro la commutazione a 20 anni di fortezza e, a suo tempo, l'amnistia ... Le famiglie dei disertori vennero poi forzate dal governo a rimborsare il prezzo delle monture e delle armi. Nè a questo si limitò il governo, e vuolsi promettesse premi in danaro a tutti quei soldati che avrebbero denunziato chiunque li avesse incitati a disertare o avesse tenuto discorsi ostili al governo medesimo. A' 30 luglio del 1860 il Comitato Nazionale dell'Istria B,bl1oteca Gino Bianco

- 19 - mandava 500 lire per la Sicilia all'Associazione Unitaria di Milano e le scriveva fra l'altro: « L'Istria, povera di tutto fuorchè di generoso sentire e di amore sviscerato alla comune madre, non può che tenui somme offrire, ma la conforta il pensiero che l'Italia saprà, meglio che ali 'offerta, avere riguardo al coraggio con cui fu raggranellata sotto la pressura della polizia austriaca, e al cuore con che essa la porta sull'altare della patria. Dite al prode Garibaldi che l'Istria non è stata, nè sarà mai timida di sacrifici per la fausta causa nazionale... Ma ditegli poi che quel giorno che egli potrà libera far sventolare l'italiana bandiera sulle adriatiche sponde, l'Istria risorgerà con giubilo •a rafforzare la patria armata di marinai e l'esercito dei più coraggiosi suoi figli. Vedranno allora le provincie sorelle se l'Istria. cui l'Austria tanto oppresse per toglierle lingua ed affetti e per ispegnerne, se fosse stato possibile, il nazionale sentimento, sia indegna di loro. Per ora non le è dato che, nel segreto dell'anima e fra le torture, di proferire gli adorati nomi d'Italia, di Vittorio Emanuele, di Garibaldi; ma allora questa voce segreta, nello slancio di centinaia di migliai.a di cuori, si cangerà in altissimo grido che, echeggiato dalle nostre colline, propagherassi per la marina fino alla spiaggia opposta dell'Adriatico golfo. » A Garibaldi le donne triestine mandavano una bandiera e scrivevano: « Il dispotismo austriaco, se trovò del proprio conto una volta di ammigliorare le condizioni materiali di Trieste aprendola all'immigrazione ed ai traffici de' suoi figli e degli strani, nelle troppo decantate prerogative nascondeva il mortifero veleno, vero premio allia spontanea dedizione. Poichè dopo averla asservita in onta ai più solenni patti, adoperò per anni ed anni ogni arte e prepotenza a spegnerne le naturali aspirazioni di civile e morale progresso, ed a rapirle costumi e linguaggio. Non ne v,olJe risoarmiato l'onore e la chiamò fedelissima. Menzogna, o Generale, perchè nè le soperchierie dei dominatori, nè gli aulici decreti, nè le viltà dei degeneri patrizi valsero a snaturare il nostro popolo che è rimasto italiano, e che ora più chemai ha la coscienz:a dell'imprescrittibil~ suo diritto di appartenere all'italica famiglia. E la bandiera che noi, B:blioteca Gino Bianco

- 20donne triestine, vi mandiamo in dono, o Generale, vi sia debole pegno del sentimento nazionale che anima i nostri mariti e i nostri figli. Aggraditela, o Generale, e accordatele l'onore di guidare alcune delle vostre intrepide legioni nelle future battaglie dell'indipendooza e della libertà comune, col grido di Viva Vittorio Emanuele. » Le donne istriane, le udinesi e le goriziane si riunivano dal canto loro per offrire due bandiere alla Brigata Ravenna. Il Comitato Tergestino (15 ottobre 1860) mandava all'avvocato Andrea Molinari a Milano la somma di 1920. lire per essere dedicate a scopo--patriottico, gli annunziava l'invio d'un quadro destinato alla Signora Laura Solera Mantegazza per uno de' premii della Coccarda patriottica e gli comunicava : « Mentre gli sgherri della polizia austriaca vanno qui farneticando per iscuoprire comitati ed arruolatori e ogni dì più, come chi è preso da dispetto, infieriscono con arresti e perquisizioni ; le nostre aspirazioni per il completo trionfo della gran causa crescono a doppia ragioné, l'emigrazione d'ogni classe aumenta e non cessano le clandestine collette di danaro in soccorso della indipendenza italiana. » Fra le perquisizioni fu notevole quella fatta a Trieste in Casa Bardeau. La casa fu circondata da una trentina di poliziotti e rovistata da cima a fondo, per altro con esito negativo. II corrispondente della Perseveranza commentava argutamente: « Non sanno capire gli Austriaci che anche qui comincia ad essere come nel Veneto : il comitato eh 'essi cercano è introvabile p_erchè è composto di tutti quanti l>. Principiò tuttavia a capirla l'arciduca Massimiliano che, in un suo rapporto a Vienna, scriveva: « Si erge alle -coste dell'Istria lo spirito italiano. » E questo spirito era degli uomini d'Istria non solo, ma pur anco (e si è già visto) delle donne. Ad una popolana il vento, smuovendo la pezzuola che aveva allacciata al collo, scopriva un nastro tricolore, e la polizia la traeva in prigione e tentava di farla processare per alto tradimento. Nè avevano riguardo i fanciulli a mostrare la loro B1bhoteca Gino Bianco

- 21 - antipatia pel governo e i suoi rappresentanti. Un ragazzino di dieci anni venne un giorno arrestato da due ufficiali per averli (cosl dicevano) guardati con disprezzo; e un povero operaio che s'era introm9sso a fin di bene fu minacciato con le spade sguainate. Un'altra volta un branco di ragazzi percorreva le vie di Capodistria gridando Abbasso le crinoline! (moda ritenuta tedesca) e recava (era sera) un fanale tricolore; tanto bastò perchè a disperderli fosse chiamato il battaglione di presidio in armi. Talvolta gli ufficiali provocavari loro la gente : così una notte a Capodistria si riunirono in quindici o venti nella via e si diedero a cantar fort9 in tedesco e a sbattere le durlindane sul lastrico. Ma questi eran troppo umili sfoghi, e l'Austria si macchiò di sangue. A un marinaio a Pola, in piazza, proruppe irresistibile dal· petto il grido di Viva l'Italia!, e un ufficiale che passava, e lo udì, gli fu addosso con la spada e lo foriva a morte. Eran trascorsi pochi giorni appena quando a Pirano l'operaio Mistare, forte giovan~tto e bravo, per non avere ubbidito di scatto ad una sentinella che gli intimava l'alto, fu da questa freddato con una fucilata nella testa. Lieta per contro la fine fatta indi a poco da Guglielmo Trepino.vich, altro istriano, il qual~ cadeva all'ombra del vessillo d'Italia combattendo contro gli ultimi borbonici. Ora nel 1860, il grande anno in cui l'Unità prese aspetto di fatti, come i'ànno avanti l'Indipendenza, Camilio Benso di Cavour avea notato con compiacenza le varie manifestazioni patriottiche della Venezia Giulia; meglio ancora potè toccarne con mano il patriottismo. A tal proposito ricorda Pacifico Valussi: << Fu un tempo in cui un bravo Goriziano mi portò una somma ch9 i suoi compatriotti avevano bisogno di spendere per la patria italiana. Era il momento in cui la flotta napoletana era stata da Garibaldi consegnata all'ammiraglio Persano, ma che veniva abbandonata da' marinai. Da alcuni Triestini, Istriani e Friulani si fece un fondo per attirare marinai dell'Istria, del Ven9tO e della Dalmazia per la flotta italiana; e ci si riuscl; e Cavour, allora ministro anche della marina, gradì il dono, intese molto B•blioteca Gino E31dnco

- 22bene ,il doppio vantaggio del togliere i marinai all'Austria e farli proprii. Ora dico qui a' patriotti Goriziani che quella somma, depositata fiduciosamente in mie mani, andò ad arricchire quel fondo. » E Cavour, ;ti 30 Ottobre, scriveva a Lorenzo Valerio, commissario straordinario nelle Marche: « Ella ha fatto ~ ottimamente di conservare al Lloyd i favori di cui godeva : emani pure un decreto in proposito (fatto l '8 novembre). E' utilissimo il mantenere buone relazioni con Trieste che, da quanto mi si dice, si fa meno fedelissima e più italiana. Non già ch'io pensi alla prossima annessione di quella città; ma perchè conviene seminare onde i nostri figli possano raccogliere ». Nuove speranze - Manifestazioni patriottiche - Ergi■ sto Bezzi nel Trentino e Marziano Ciottl nel Friuli. Crescevano· intanto le speranze delle terre tàttora irredente, come quelle di Venezia e di Roma, e a confortarle vieppiù, inaugurandosi il 18 febbraio 1861 il Parlamento Italiano, suonò la voce del Re : « La nobile nazione Germani.ca, io spero, verrà sempre più nella persuasione che 1'Italia, costituita nelfa sua unità naturale, non può offendere i diritti nè gli interessi delle altre nazioni » ... Grave lutto per I.e terre irredente fu poco appresso la morte di Cavour. Quando fu deciso di erigergli un monumento a Torino il Comitato Veneto Centrale, nel trasmettere al Sindaco le offerte di Cormons, Gorizia e Medea ( 16 agosto 1862), aggiungeva: « Noi trasmettiamo a V. S. Illustrissima questa offerta, pegno del sentimento patriottico che anima le popolazioni stanziate sull'Isonzo, sospiranti anch'esse a far parte della grande famiglia italiana che, dopo tanti anni di sventure, tutta vuole raccogliersi sotto lo scettro costituzionale di Re Vittorio Emanuele Il. » Bibl1oteca Gino 81dnco

-23 A Garibaldi, che intanto meditava novelle imprese e avea palesato il desiderio d'aver carte idrografiche e geografiche del mare Adriatico e della sua costa orientale, gli emigrati istriani ç triestini mandarono quanto poterono radunar di meglio, e gli scriverano (8 giugno 1862): <tQuesto solo desiderio a quanta speranza non commoveva gli animi degli emigranti istriani e triestini! Generale! Istria e Trieste anelano di essere sottratte al giogo straniero : Dio voglia che anche · il piccolo presente che i loro figli vi offrono vi giovi, e presto, a far paghi i loro voti. » E il Generale di rimando ( 1O giugno) dopo averli ringraziati : « Io so che l'Istria ·e Trieste anelano frangere le catene con cui le avvince odiata signoria straniera, so che affrettano col desiderio il compimento del voto di esserç restituite alla madre Italia. Quantunque tristizia di tempi e di uomini sembra voglia impedire il .compimento di quel voto, io ho fede che non sia lontano il giorno delle ultime vittorie da cui sarà suggellato il completo nazionale riscatto! ... » Ad esempio de' sistemi che nel 1862 imperversavano a Trieste valga la seguente circolare che il presidente del 'fribunalç Provinciale e del Tribunale Commerciale Marittimo dirigeva, d'ordine governativo, agli impiegaci giudiziarii : « Dovendo io conoscere· i nomi dei candidati che nelle imminenti elezioni municipali saranno prescelti dagli elettori appartenenti ai Tribunali Provincialè e Commerciale e alle due Preture, vorranno tutti i signori elettori esibirmi ad ispezionare. immancabilmente sino al 16 corr. le loro sch~de debitamente empite. In conferma di aver ricevuto il presente avvertimento vi apporranno tutti la loro firma ». In tal modo toglievasi il libero voto a circa 285 cittadini. Indi a poco le donne trentine e istriane, e con esse le venete, deliberavano di offrire un albo augurale a Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele, andata sposa a Luigi I di Portogallo. Recatasi la commissione da re Vittorio. ai primi del 1863, Aleardo Aleardi gli porgeva l'albo pregandolo di farlo pervenire alla regina del Portogallo con gli augurii delle donatrici ; e soggiunge.va : <eQuando poi avverrà che 'la nostra bandiera sventoli sulle torri italiane di Trento, e dalle italiane colline di Pola si 81blloteca Gino Bianco

- 24 - specchi nell'Adriatico nostro, allora voi potrete dire con sublime orgoglio, o Sire, al vostro figliuolo: Umberto, io ti ho composto la più bella, la più gentile corona di Europa. » E il re accolse benigno e incoraggiant~ i voti. Poco dopo l'Alleanza ( 1O gennaio 1863) pubblicava questo saporito articolino: «Diogene cercava un uomo, l'Austria cerca una donna. Ci scrivono dal .Veneto che l'Austria va ,in traccia di una donna la qual~ sia capace di protestare contro il dono offerto alla regina di Portogallo dalle signore venete, istriane e trentine. Ad onta delle più accurate scrutinazioni e delle· più brillanti lusinghe non si è ancora potuto trovare una donna che voglia firmare, anche col segno della croce, la protesta. » JI Trentino veniva a quel tempo deliziato dalle gesta del commissario straordinario Hohenwarth così riassunte dal Baisini : « Requisizione delle armi, arresti, prescrizioni, bastonate, processi, ed i sequestri politici ». O' ispirazione mazziniana era la vasta cospirazione che ferveva allora in tutto il Trentino e della quale era anima Ergisto Bezzi di Cusiano, il nobilissimo cui scriveva poi Garibaldi; «Sin quando gli italiani non seguano l'esempio d'uomini come voi, staranno meritamente sotto la verga e il disprezzo u11iversale » ; cui scriveva Mazzini : « Io vi ammiro ed amo sempre più. n E che dirò di Marziano Ciotti gradiscano, dei Mlillè, uno de' capi-insorti del Friuli nel 1865, il quale con altri quindici in vetta a una rupe respins~ i ripetuti attacchi di una intera compagnia di austriaci? ... Cii irredenti e la guerra del 1886. Allo scoppiare della guerra del 1866 il popolo cantava l'Inno del poeta trentino Ippolito Pederzolli... Fremon Trieste e Trento, I drappi all'aura ondeggiano, Esulta il tricolor ! B·blioteca Gino 81dnco

- 25 - E uno spmto bizzarro scriveva un satmco Testame,:to di Francesco Giuseppe I: «Lascio - dice fra altro l'imperatore - alla Dalmazia td a tutto il Tirolo italiano la speranza di poter un giorno vivere insieme sotto lo scettro del re d'Italia che ha usurpato e minato la mia potenza. » Il Comitato ddl'Emigrazione Triestino-Istriana si adoperò a tutt'uomo presso il Governo a pro' della regi011e Giulia. In un memoriale ad Alfonso La Marmora diceva: « I paesi q'oltre Isonzo sono italiani quanto qualunque altra provincia di confine della grande penisola, sentono di esserlo, e se sitno decise di volerlo, lo dica la lunga serie di manifestazioni coraggiose e clamorose che si succedono da tanto tempo nei loro principali centri... Lo scioglimento ripetuto dei consigli municii,ali di Trieste, di Gorizia, di Pisino, di Capodistria, lo scioglimentcl della dieta provinciale di Trieste, di que-Jla dell'Istria ... lo stato d'assedio del 1848 e 1859, i processi e le condanne politiche pronunciate specialmente da quell'epoca in poi... son fatti che non si distruggono ormai colla usata frase dei pochi malintenzionati, del pugno di faziosi favoriti dal Piemontè ». Al Ricasoli il Comitato ricordava : « Senza i porti dell'Istria· non si naviga l'Alto Adriatico: se l'Austria ne rimanesse in possesso ricomincierebbero tosto le antiche molestie. » A onore di Bettino Ricasoli va detto eh 'ei fu uno dei più fervidi propugnatori dtl riscatto del Trentino e della regione G~ulia ; e anche il popolo d 'I tali a la pensava come lui. Infatti da certi' appunti tracciati dal Ricasoli . il 18 Luglio si rileva, come i prefetti riferissero il dolore delle popolazioni alla voce che Venezia ci v~rrebbe ceduta a mezzo della Francia e che del Trentino e degli altri paesi pertinenti all'Italia per diritto nazionale e necessità di difesa non si parlava nemm~no; come infine fosse generale il desiderio di continuar la guerra. E il Ricasoli scriveva poco appresso a Visconti-Venosta : « Non è soltanto il Tirolo Italiano che ci occorre, ma ben anche l'Istria ». E telegrafava a Persano: « E' fatale che entro una s~ttimana sia distrutta la flotta austriaca e occupata l'Istria ». E lo scontro navale tanto desiderato, sul quale RicasoH aveva fondato tante speranze, avvenne B1blloteca Gino Bianco

- 26 - e si chiamò Lissa. Al campo di Garibaldi, ci dice l'Abba, gli ufficiali commentavano : « Ah ! Se a Lissa alla testa della flotta fosse stato Garibaldi con Bixio per secondo, chi sapeva con qual prodigioso fatto d'armi la marineria nostra avrebbe iniziata la storia sua nuova? Forse l'Adriatico sarebbe stato subito nostro con Trieste e Pola e le coste della Dalmazia libere, e l'Austria sarebbe rimasta senza flotta e senza litoral~ ... » Alla pace furono dai nostri volontari evacuati quei Comuni trentini eh 'erano stati liberati da Garibaldi ed avevano scritto a Vittorio Emanuele : « Noi siamo vostri per,chè siamo parte della Nazione Italiana e pronti a dare per essa sostanze e vita». Ebbe a dire in quel torno re Vittorio: « L'Italia è fatta, ma non è compiuta». «Infatti - commenta il Tivaroni - Roma mancava, e Trieste e Trento, territorii, checchè se ne dica dai tedeschi, indubbiamente italiani n. Non risparmiarono gli irredenti il loro sangue in qu~- sta guerra. Emersero, tra gli altri, il tenente Leonardo D'Andri, istriano, caduto a Custozza mentre guidava all'assalto la sua compagnia rimasta priva del capitano, - e il guardiamarina Giovanni Ivancich, dalmata, caduto a Lissa, - e Giuseope Zecchini, trentino, caduto a Vezza primo dei garibaldini, - e Oreste Bronzetti, altro tren-· tino, degno fratello dei due caduti eroi, _; e Carlo Tiva-. roni, dalmata, poi storico insigne del nostro Risorgimento, uno degli organizzatori di quelle bande cadorine che diedero i trecento prodi che a Tr~ponti scambiarono le, per allora, ultime fucilate con gli austriaci sommanti a 1200, respingendoli dopo otto ore di combattimento ... cn Irredentinella campagna dell'Agro Romano. Ed anche nella campagna del 1867 si distinsero gli irredenti. Giusepp9 Fontana trentino, dei Mille, sconfinava per primo a capo di 150 volontari, marciava sopra Acquapendente ed arrestava 32 gendarmi pontiB.blloteca Gino 81dnco

27 - ficii. Ali 'impresa di Villa Glori partecipavano tre triestini : Gian Luigi Vidali, Pietro Mosetig e Giusto Muratti; e alla difesa dal Lanificio Ajani altri tre : Rodolfo Donaggio, Enrico Ferolli e Francesco Mauro, i due ultimi lasciandovi la ·vita. A Monterotondo il capitano Marziano Ciotti si copre di nuova gloria, e Garibaldi gli scrive : « Io vi proclamo un prode, e valorosa la compagnia da voi comandata». Al Casale Valentini si distingue pel suo ,valore il sergente Giacomo De Zanchi zara:ino. A Mentana ,cadono i giovinetti trentini Brunelli e Pollini, rimane gravemente ferito e prigioniero Ergisto Bezzi, lasciano degli ultimi il ca111po il capitano Mandali triestino e Carlo Tivaroni... Cli irredenti e la liberazlone di Roma. Non si rallentò l'attività degli irredenti. A Firenze, nel campo repubblicano prestavansi pel riscatto di Roma alcuni dalmati: Tommaso Vusio, ch'ebbe a subire molte persecuzioni, e suo fratello e l'ingegnere Rovis. A Trieste agiva un comitato mazziniano che era in comunicazione diretta col Maestro. A Padova cospiravano gli studenti universitarii istriani, con a capo Domenico Lovisato; e Garibaldi, rispondendo da Caprera ad un saluto che gli avevano mandato, li incuorava così : « Grazie per la gentile attestazione di affetto. Italiani d'origine e di aspirazioni l'Italia non deve dimenticarvi siccome una delle più belle gemme della sua aureola. Io darò volentieri la vita per l'affrancamento completo della famiglia nostra ... » Nel luglio 1868, in seguito a varie manifestazioni · liberali del Municipio e della città di Trieste, avvenivano le brutali violenze compiute contro i triestini da una torma di villid slavi spalleggiati dagli slavi del battaglione territoriale; sobillati tutti da preti e da prezzolati austriacanti. Varii cittadini rimasero feriti; uccisi Rodolfo Parisi e un altro. A' funentli del Parisi accorse Biblioteca Gtno Bianco

- 28 - una folla immensa fra la quale vennero tosto raccolte undicimila firme chiedenti tutte lo scioglimento del battaglione territoriale. Nel successivo agosto a Gorizia scoppiava un petardo in Duomo durante la messa pel compleanno del- ! 'imperatore. Caddero i sospetti sul patriotta Carlo Blasig il qual~ fu arrestato e condannato a sei anni di carcere. Nell'ergastolo di Gradisca, ove fu mandato a scontar la pena, incontrava Melchiorre de Pregel, suo concittadino e fratello di fede, conaannato a quattro anni; e fra di loro concertarono ed eseguirono la fuga e si ridussero felicemente a Udine. E così tra cospirazioni, dimostrazioni. procçssi e fughe vissero allora le terre irredente, e videro i francesi partire da Roma e, il 20 settembre 1870, le truppe italiane aprirvi la breccia di Porta Pia e restituire ali 'Italia la sua capitale. Ed ebbe la ventura d'essere de' liberatori . Cristoforo Venier, capodistriano, ufficiale valorosissimo che aveva già partecipato alle lotte contro il brigantaggio e alle campagne dei 1859, 1860-61 e 1866, rimanendo ferito a Solferino e a Custoza. A Trieste il grande avvenimento fu risaputo il giorno stesso. Sul fare della sera i cittadini illuminavano le case ed accorrevano al Consolato Ita11ano acdamando con grandi grida a Roma e a Vittorio Emanuele. La polizia invadeva le case per ispegnere i lumi ed assaliva i dimostranti ferendone parecchi. E all'indomani il consigliere Antonio Vidacovich, in Municipio, glorificava apertamente la vittoria nazionale con parole coraggiose acclamatissime: « L'ingresso delle truppe italiane a Roma, preludio della caduta del potere temporale dei Papi, è q:rtamente un avvenimento di alta importanza, imperocchè esso viene a ridonare all'Italia la sua capitale, esso viene a sciogliere quel mostruoso connubio del potere spirituale col temporale, connubio che è certamente una dèlle cause principali del decadimento del cattolicismo. Orbene, o Signori ! Se questo avvenimento fu salutato ovunque con feste e manifestazioni di gioia, perchè non l'avrebbe salutato con feste anche la città di Trieste? Noi non siamo c~rtamente i paria della Società : noi abbiamo una mente per giudicare ed un cuore B blioteca Gino 81dnco

- 29 - per sentire, e quindi avevamo pienamente il diritto di salutare con gioia questo avvenimento; e come italiani pere'hè (quantunque formanti parte di un consorzio politico diverso) non ci era interdetto di partecipare alle gioie ed ai dolori della patria comunen. e iudizio di Cabriele Rosa. Coloro poi che scriveranno la storia dell'Italia Irredenta dal 1870 a questa vigilia del suo riscatto dovranno constatare quanto fosse nel vero Gabriele Rosa, quando scriveva commosso, ammirando : << L'agitazione degli Istriani, de' Triestini, de' Trentini e dei Dalmati delle città marittime per iscuotere il giogo slavo-tedesco ra!Jlmenta e ripete quella de' Lombardo-Veneti dominati dall'Austria. n Oberdan. E s'inchineranno davanti alla splendida figura di Guglielmo Oberdan. In tutto l'eroico martirologio italiano non troveremmo eroe che lo superi. Più si studia più grandeggia, più si rivela moralmente perfetto, più muove ad amarlo. A Lui, quando si accingeva al sacrificio, non sorrideva la nuova aurora italica dei carbonari, non il meriggio delle grandeggianti lotte. La Nazione era fatta per quanto incompiuta, la Nazione in quel momento era stanca, la Nazione non guardava oltre l'Isonzo. Taluni facevano le maraviglie che Trieste (la patria di Samuele Romanin) parlasse italiano; altri, o immemori o ingrati, le rimproveravano la mancanza di un martire : laonde Trieste dicevano, non aveva l'animo di Milano o l'Austria non era più quella di Milano. In Oberdan, nel vespro del Risorgimento, rivissero i martiri della sua aurora e del suo meriggio. In lui solo fu la fede di tutta la Nazione. Ci voleva un martire, si disse pronto. Dalle travi del patibolo riaffermava l'italianità di Trieste nella B bhotee,aGino 81c1nco

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