La Difesa delle Lavoratrici - anno IV - n. 4 - 21 febbraio 1

UN CASTIGO lo sono stato un pove ro fanciullo. El la mia fanc iull ezza e la mia ado lescenza do– lorosa hanno dato, più lardi, un riv erb e– ro di tristezza a tutta la mia vita. Bisogna non ama reggiare i piccoli per a \'ere degli uomi ni sereni, fort i temprati alla vila e al– la lolla. bono sta lo, per m,01ti anni, in un istitut o per l'mf anzia ab bandonata. (Juegli anni mi tornano in cuore ogni volta che vedo un ,,ccelletto captivo, che balte le ali, contro la gabbia , pel b1s0 ,;110 disperato della liber– tà. Quando sono entralo nell' istituto ero p roprio come un uccellino spau rito, porta– to via all a sconfinata libertà dei cam pi. A casa io· non mangiavo sem pre, ma mentre la mamma era al lavoro io m'indugiavo nei campi coi mie i pic coli amici , ruzzoland o per le strade e un po' di pane più ab bondante mi rendeYa felice. Credete voi che ci vo– glia molto pe r dare un po' di gio ia a un ba mbino povero e sven turato? i\la la mamma, povera donna , non solo _guadagnava troppo poco per tutt'e due, ma era an che malati ccia. Quand o non poteva danni da mangiare piangeva e mi diceva: ((Pi ccin o mio, forse Yal megl io morire ,,. E un giorno la persuas ero che bisognava to– gli ermi dai pericoli della str ada,, perchè l'ab bandono e la fame avv iano troppe vol– te, le poYere creature ignar e nell e vie del dolore e della perdizion e. Una signora s'int eressò del mio caso e fui accettato nell';s lituto dei bambini ab– bandonati. L'ultima notte che passai in ca– sa mia. dormii ab bra cciato alla mamma , così stre tto, e mi pareva che il mio picco– lo cµore avesse un dolo re troppo grand e, e che non a\·r ei potuto più nè gi-0care. nè ridere. Per cons olarmi la mamma m i disse : - ~in etto , io penserò a te e tu a me, sem– pre come se fossin .o Yicini; ti yerrò , a tf'o– Yar e alla dom enica e una \"Olla al mese. nel giorno d'usc ita ti verrò a prendere. sta– remo insie me tutto il giorno e ti prepa rerò u11a focaccia. con lo zucchero. E allo ra mi quietai. Appena entrato nell'istituto mi mandaro– no in una scuola comunale, perchè avevo compiuto i sei anni. Cominciai così una v1· ta monotona, grigia; godendo. pei primi tempi di mangiare a sufficienza, di avere una divisa di panno, con delle righe rosse ,.. e un neretttno èon tara - 1ucen·t"e, cù1ffe se fossi un piccolo soldato. La prima sgridata l'ebbi perché io non sapevo pregare. Nell~ sua miseria la mamma. poveretta. si era dimenticala del Signore. )la a poco a poco imparai a pregar e. P oi imparai molte cose : a non piangere. di nott e, a letto. perch é la ma mma era troppo lont ana; a non lamenta rmi di nu l– la perché é sempr e troppo quello che si dà ai bambini così po,·e ri, ad essere buo– no e tranq uillo. per chè mi si lasciasse vede– re la mam ma alla domeni ca ; a tremar e quando il diretto re mi diceva: <, Bada che se non ubbidir ai .sem pre, li toglierem,o l ' u– scita.' )>. Io non pensavo che al giorno d'uscita . La mamma m i veniva a prend ere , mi conduce– va ai giard ini, o -al par co, mi comp erava un dolce o una bibi ta da un soldo da un vendi tore am bulan te. e a casa tro\'ava la mia piccola f-Ocacia frag ran te e inzuc che– ra ta. \f i di ceva la mamm a: (( Quei poch i soldi con cui ti comperav o da ma ngiar e vrima, bisu~na che li spe nda ancor a per te, per non f:Ssere tr oppo inf e– lice" · APPENDICE Pagine di vita ----- La <,CiJfJlaHa prr.ita a <J stan za dall abitato_, jn piena cam}-·::-i,~Ni, fra il ·nd e, rna era cosi um ida! Sopra J"aula v'era una ~tanzetta ad abba ino rischia r ata da ur1H finestra su l tetto. .'\on vi fu modo di tro var al~ra camer:.1 per dormire e mi vi dovetti ac<:onc1are con un let– to cedut omi dal pro pr ieta r io d um.1. pirr-oh trai toria J'unica del luogo. Che sol'fitto. tutto tra vi c3.riate e rag n ate le! Vi feci un_a scrup olo– sa puJizia. nonostante efo trovavo 1I vaso dP,J– lo zu(•chero .~empre pieno di formiche che pe– netravano dovu nque. Qualche volta alla do– menica quando mi fermav~ ur! fJO 1~ letto a fantasticare, <fualr-t1e topolrno 1mpertmPnte O· sava ven irmi a tocca r le orecchif::. Cercavo <li prenderla allegramente: fino i topi sono screan zati in questo benedetto pae – se e in pleno giorno si prendo no tal i licen ze! dJcevo. La ca ttedra poi era semovente. Oh la cac cia ag li sca ra faggi! con tr~ o_ quatt ro sco– lari dei più coragt, 1 iosi ar mati d1 s_copa. Alla ser a, oua ndo tornavo dalla tr~tto n a .dopo l?, cena, le om bre gigantesche d1 que~h albe ri ~ ,quella casetta tosi sperd uta, quell au la rosi dese rt a e ros i tristP. m• mettev~~o adrlo..csoum~ certa malin conia: saliYo la rigida scaletta d1 legno fr etto losa e più d'una volta qualche gat. taccio col suo miagolio, o bal zando dal Iettuc- LA l)lFb: SA DELLE LA\"UHXl'M!Cl Con la mamma le ore volavano , e come eru lun go un mese nell'i stituto! Cerca vo di t:ssere sempre buono, un po' per far pia cere alla mamma, un po' perch è ero d indole dolce e remissi va, un po' per il tetrore c.:he il direttore mi pr ivasse del– l'us cita . ~vra vi sono giorni in cui negli istituti semb ra che non si respiri che la pau ra e il disamore. Vi pare che tutto vi sia ostile : la v-0ce dell'istitu tore; lo sgua rdo del direttore in cui pure tante Yolte avete letto un compa– time nto pietoso e una bontà. che vi ha fat– to pia cere, la cam erata fredda e nu da , in cui i letti, allin eati , semb rano cose vive e tr isti e pare che vi strin gano il cuore, tut– te le lagrime che si sono piant e, in silenzio, nelle lun ghe notti, quando non si poteva dormire e ci pr enàeva il senso ang oscioso dell'abbandono. In uno di quest i gior ni io fui cattiv ,o a scuola. La mamma alla domenica non era venuta, e poi pioveva. e un compagno vi– cino mi scherzava perc hè la mia giacchet– ta era così stretta e corla che non potevo muovere le braccia. Invece d'nscolla re la maest ra , stav<> a sen· lire l'acqua che picchiettava su i vetri, e pensavo: <d:Certo la ma mma è malata, fa trop po fred do e lei non ha la stufa , e forse non ha da man giare, perchè non può la- varare }). Il mio compagno mi st uzzfCava sempre. Allora io mi voltai e gli diedi un pugno, senza ricordarmi più nulla, non aven do la coscienza di essere a scuo la. Ritorna i in me sent endo la voce della mae· stra , irritala, che mi sgridava e com inciai a tremare e a guardarla, impaurito , quan– do mi disse che avrebbe avvertito il dir et– tore. Quan do presenta i il rapp ortino dello mae– stra al direttore, per la firma egli mi disse: n Cominci anche tu, eh, biric hin o? Do- menica non usc irai )). Credete che io abbia sofferto così tanto le notti che anda vo a letto affamalo? Credete che nella mia vita io abbia odia– to qualcuno dopo come la m1a maestra , 1l dir ettor e, e l'ist ituto quella volta? Venne a prende1 m1 la mamma, la dom e– mca mattma e l'1tornò senza d, me Io pas- sai la domenica, rinc antu cciato nella cam e– ra dove facevamo i nost ri compitini , e 1100 parla i, e non piansi. Chiamavo la mamma . col cuore st retto, e mi pareva semp re che mi rispondesse, con quella sua voce, a cui il dolore dava una dolcezza così "trist e : u Val meglio morire , mio povero bamb i– no)). Come un giorno , quan do la casa era fredda e il pane mancava. MAR LA PERO'.ITI B ORNAGHL Piccole e grandi verità 1 piccoli aquiloUi vorac i spo rgono il bec– ,:o adunco dal nido nascosto nell 'inaccessi· bile roccia. L'aquila dopo breve sosta sul limitare del nido prende il v-olo e scende a larghi giri su lla vallata. È un istante di fremiti: nel bosco gli uc– cellini sospendono le loro canzoni ed accor – "!ìOno ai piccoli nat i. Sui verdi cleclivi i, gli agnelli corrono belando alle madri. Ad un tra tto un r-0mbo echeggia per le con valli. Passa un brivido mortale nei piccoli cuo– ri palpi tanti e nelle cose vive della natura ... Torna la qui ete, un'onda di gioia si ri– >,olleva nell'aria. Gli uccell i mandano gor– gheggi più forti e più armoniosi, gli agnel– li corrono ancora sui margini fioriti avanti alle madri.. · L'aquila non c'è più. Un uomo ha ucciso !'uccello malvagio. Gli aquilotti lassù at- 1.anderanno invano nella cecità del loro i– stinto. :\1orranno forse e la razza rapa ce– avrà fine! Lo svolgersi della vita è tutt a una lotta tra il debole e il fo1·le. Le forze della natu– ra cozzano fra di 1oro ugua1mente cieche; fra i contendenti vince il migliore. P la leg– ge della selezione naturale, determinata da quel grande natural!Sta inglese che fu lo Spencer. Ma la forza bruta non ha sempre vitto- ria. L'uomo con la sua intelligenza riesce I a domare , a vincere le forze violente. Le scoperte che l'11omo compie nel corso del- 1'evoluzione umana segnano delle epoche. ~\T•~'•()- ,T,-•o' r/,; "'-, ' ' .3- \ ' irl' i,· (1,1 I J ,, rlil'I:'( t, , /,1 1 \ I · .J1 ~ 'i;).~ Ecco, ragazzi, Trento, Tri este, l'Istria, Fiume e la Dalmazia... Papà noi preferiamo un po' di pane. cìo impro vvisamente, mi fece batte re forte il cuore. V'era jn paese 11na grande ca rtiera, quind i alcuni imp iegati e molti ope rai e operaie. La sera si passava meno ma le. lo pensav o qu al– die volta a quel le operaie che guadagn avano 75 cent. al giorn o, dei quali 1 10 ne pai,sa vo.no a de1le monache <·he le ricove l'ava no e m an– ten eva no. Dio mio, in che modo! Della bro <la– glia il me zzodì, pa ne asc iutto alla sc:ra, o du e foglie d'insa lata! E ~f~ivano 12 ore rtll'umido , al frfddo, al vc>nto, in mezzo al la polvere, a i mic robi a sceg liere i cenc i e a dividerl i se• r:ondn la qualitit. E prnsa re che il pr oprieta rio , 1 ,.;j diceva, f>(Jtrva c·oncedrrs i il lusso, sfrn tta n– do q1H~lla povera gente, dì spr nd err 100.000 Ji. re per an·r l'cJnorr d'un colloquio r·<m una molto nota c·ontr-ssa vene ziana . Qua li dolorose considern zion i facevo meco stPssa! n iprf•si il mio Artu ro e con lu i mi pa – reva d'esser lJiù sere na. :\1a la scuo la rni rni– n:1v;.t: J;i ~offP.rr->nza pel freddo, e il lavo ro m ·a. veva no molto indebolita ; l'ane m ia m i riprr•n– deva: a far la scala tremavo cor11ese fossi un a con valescente. Mio marito m i scri sse the aveva trova to Ju. eroso lavom, <'h'na agente daziario di 30 r,o– mu ni ; che volev:1 i figli, che ,·oleva. d1P io ritor– nass i. - ((Stnrai nel mio ufficio a terir re la contabilità, mi srriveva; tu sai lr: mie idre sulla sottomi~siùne ..-Jr:lla donna: ad og1Ji mo• do, qirn lora tu voglia esser umile ai m iri vo• Ieri, pot rerruno esse re non felic i, almeno tran– quiJli n. Gli risposi tosto chP niuna ga r an zia di se– rietà egli pote"a da re, che pu rtro;-:,po, non rnoHo sar eJlJe du rata la buon a sorte , data la di lui prod iga lità e leggere zza ; che ad ogni modo io gli augu ravo la migliore fortu na, che non gli a, rei mai nega to di , edere i bambi– ni e tenerli per qua lche breve periodo poicl lo desider:1,·a, rna t he io asso lu ta ment e no n avevo più fiducia alcuna in lui e non mi sen. tivo certo di riprendere la convivenza. Andò su tutte le furi e; mi scri sse con un a vio]('nza spave ntevole di linguagg io. Sarebb e venuto coi ca rabi nieri e col delegat o a pren . der i bimb i, a tr asc inarmi a forza: volente o nolrnt e 11,-rei dovuto segu irl o ed egli si sa reb– be diverti to nd ins11ltarrni. La moglie deve se– gu ire il marito, mi diceva. E se , oless i resi• ste1·e, gi:icchf, tanto temi per la salu te cli tuo padre, g ia('c h<' ta nto tremi per la di lu i im– rre ssirmabilità, ,·err ò il dì di P asqua quando voi snrete tutti racco lti a pr anzo , (' coi ca rabi – nieri verr ò a. tr asci n arti via e, guai a ch i oserà sfidnr e la. mi a. ira ! Egli ,wrebbe sap uto anc he fare fli qu este prod ezze! Io non lo tem evo, affa tto. Ma per mio padr e si, tr<'rnavo. Er a mio preciso dove– re evita rgli ogni scen acc ia. A chi av rei potuto r icor rere per d ifend ermi da lui ? GJi feci c-ompr end ere l' ass urdi tà della sua pretesa: ((Tu non sa i serba r un posto lungo tempo, gl i scr issi; chi darebbe da m an– gia re ai figli nostri se io rinunciass i al pane? Tu non dai alruna ga ran zia .di se riet à; se il padr e manca, rimanga loro almen o la madr e a.d assi<;terli , a pro tegge rli 1,. Pare si pe rsw1d.esse: ad ogni modo 1,erii esi– geva i figlio li; d iceva d'aver egli allora mezzi materinli molto più abhondanti dei miei e non Abbiamo le di verse eta dello sviluppo uma– no a secon da dell'arma che !"uomo brandi– sce. L'arma da fuoco ha certame nte segnato un gran passo sul cam mino sociale in quan– to che l'uom o ha avut o in sue mani un mezzo potente per la difesa dagli anima– li feroci ed ha potuto cosi espandersi pel mon do. Ma ah imè! non sempr e l'uomo adopera l'arma per bene dell'uomo, per progres– so socia le. Il cacciatore ardito che colpisce l'aquila rapace distrugge pur an co il dolce mondo cano ro. Necessità della vita? No, for– se... Chi dice a noi che altri cibi 1 alt ri mezzi , trovi l'uom o per soddisfare il suo bisogno di vita? Così l'a l'lna che sel've per dif endere la vi– ta umana dalla fiera selvaggia e dal mondo anco r barbaro, pu ò anche servir e per se– minare cinicament e la strage nel mondo ci– vile. Nel]a civiltà sopravvivono incons cia– mente le epoche del passa to. Il bisogno di l'apina che lanciava una tribù contro l'altra è pur oggi l'interesse bieco del cap italismo e delle caste, che lancia le na zioni ,contro !e nazioni. NecessitU di vita? No, forse... Forse? No: certezza! Alla legge del più forle che ha dominato il mon do subentra una coscienza più alt a a dettare la nuova legge di solidarietà .u– mana. Questa legge benefica si ergerà sul m-0n– do e sapr à rlebellare tutte le forze malva- i-;ie! YERITAS. VARIETA' LEBIMBE GRACILI -'-- .G incredibi le, mi diceva pochi giorni fa il mio ottimo medico, il num er-o delle ragazz e, specialmente cittadine, che hanno il bu sto scarsamente sviluppato! T-oraci piatti e allungat i, deviazioni sia pur leg– gere, ma frequenti della spina dor sale, mu– scoli poco validi: ecco ciò che pr esenta la gioventù , del giorno d'oggi! A quindici, sedi – ci anni, hanno ancora l'aspetto di bambin e. Su dieci ragazz e almeno due sono in quella miseria di stato fisico che chia masi pretu– bercolare1 ossia sono predisposte allo svi– luppo della terribile malattia che miete tan– te vittime specia,Jmente fra la gioventù! E' doloroso invero! Pare anche che- la tubercolosi colpisca più donne che uomini. Questo l'ho impara– lo dal - Bollettino municipale mensile - della nostra citta, pubblicazione interessan– tissima sotto ogni rapport o. Yla torniamo alla gracilità delle fanciul– le. Non starò a parlare delle cause, chè var– rebbe l'assumersi il compito di un soci.olo– go e di un medico per giunta. Io vor rei piuttosto persuàdet·vi che , men tre rn~d1c( ~ sociologhi pensano e lavorano a Scalzare i1 male dalle ra dici, noi non dobbi amo stare colle mani in mano. Se la nostra bimba è gracile, persuadiamoci che nulla le necessi– ta più dell'aria pura, e ap riamo, in nom e di dio! quella benedetta finestra che il fre"ddo e sopratutto la pigrizia ci fa tener costante– mente chiuSa! Ve lo ripeto per la millesima volta, nel– la speranza che la mia fede vi scu-ota. 11 oolmone che riceve dell'ar ia pura, s1 trova in condizione di fare più facilme nte i mo– vimenti naLural i in tutt a la loro ampi-ezza, ·rae ndo cosi dalla respirazione tutto ìl van– ·aggio poss ibile e raffo rzando il tessuto che lo compone. E a proposito di ciò: che cosa costa far fal'e ai bambini tutti i giorni un po' di gin– nastica rcsporator ia? poter io obblig arli a didder la mia miseria, dato che il padre poteva provvedere larg ameu– te. Ero indebolita - a,·e,,o fatti alcuni rlebi– tucci: l'a nemia mi pro str ax a; teme, ·o non po• ter tirare innanzi. D'altro canto, lungi da me il pensiero di ,ole rgli nega re l'affetlo dei fi– gli, se egli lo desiderava e sentiva. Così, fu stabilito io li portassi a Pasqu a a :Milano, che 'gli Ji avrebbe tenu ti presso di sè qu alche mese e cioè fino al chiudersi de ll'an. no scolas tico e avl'ebbe p reso, come scri veva una governante anzi ana, buona ed affettuos ~ che avr ebbe avuto per loro le cu re 'J)iù prr– muro se. Tutta un tratto le sue lettere ::.'eran h:1.tte deferenti ssime e persu asive. LaYorai gioi. no e notte pe1· far loro un corre<lino pl'esen – tahil e. disfando sott ane e cami cie mi e. priv an. domi qua si <l'el necessa r io, per vesti rli con un po' di deco ro . Artur o era un teso retto: Rina s'e ra fatta bella, gra ssoccia: l'uno d'l quatt ro , l'a ltra di tr e anni. Giun gemmo a 11ilano; a lla sta zione ad in• contra rci v'era una donn a piccola, ben Yestita, giovane , abba stanza 'Piacente. Mi porse una lettera : io ero un po' sorpresa. Mio ma rito mi scriveva ch'io consegnas si i bambini a quella don na , ch'era la. governante più idea le che si potesse desiderare e mi faceva di lei i più spe rti<'nti elogi. ( Co11 ti mia ). Abbonatevi alla "Difesa delleLavoratrici,,

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