Critica Sociale - Anno XIV - n. 10 - 16 maggio 1904

CRITICASOCIALE n quella della gravitazione universale ma ò sempli– cemente un canone interpretativo, si limito. a spie– gare come in un tale popolo, sopra un tale terri- 1orio, con i tali strumenti, con Jc tali classi) con quei tali partiti e con qu(>I tale Stato, sia neccssa• riamente av"enuta quella determinata mutazione. Bsso è in sostanza - per usare la hella definizione del prof. Antonio Labriola - la teoria obiettiva delle rivoluzioni sociali. Ora, dal materialismo storico di )lar.x, poteva sol– tanto derivare un socialismo positivo, cioè non fina– lista. Oli antichi sognatori tende,·ano l'orecchio ai lamenti degli umili, osservavano le ingiustizie sociali, ne ri– cercavano rapidamente le cause, e poi, sulla diagnosi affrettata, suggerivano il miracoloso rimedio. Il marxismo, invece, vede una. classe che le attuali forme della produzione rendono sempre più □ume­ rosa, piì.1CO!-;Ciente della sua forza, più atta ad in– tendere i propri interessi, e giudica che nelle nostre soeietÌ\ rn.pitalistc que:::1tonuovo elcmento 1 cioè questa nuova energia, potrà determinarvi delle mutazioni profonde. Non è piì1 11utopia, è il socialismo. Un socialismo che non ò certo quello che vanno prcdictrndo certi apostoli ai quali Bellamy presta le sue geniali fantasie, ma che è quello che l'imane lucido e inrrollahile dopo meu,o secolo di revisione critica del pensiero di )farx, e che costituisce la sua gloria. più fulgida. Socialismo, aggiungiamo, che è il nostro, e che noi difendiamo contro gli oblii dei fanatici e le adulterazioni degli ignari. Quale è, infatti, il nostro punto di partenza? La classe proletaria. Quale il punto di arrivo? La sua liberazione, ossia la fine del dominio di classe. Una forza e una vittoria da conseguire; il che significa semplicemente una forza che clcrn continuare ad accrescersi fino a prevalere sulle contrarie. Il fine è implicito nel moto. 'l'utta. la nostra azione ò impregnata di questo senso realistico che è l'essenza del marxismo. Noi miriamo a<l accrescere, con l'organizzazione del proletaria to 1 con le leggi che ne agevolano e ne diffondono iC' conquiste, la sua forza economica, in~ tellettuale e politica. Accrescendo questa forza, noi turbiamo l'equilibrio su rui si fonda la società ca• pitalisticu, e, senza pro,,octnc delle catastrofi, dalle quali normalmente una società può difendersi, de– terminiamo dei successivi equilihri in cui il prole– tariato ha una funzione sempre maggiore. Programma massimo e prog-ramma minimo cliven– brno così termini senza valore, voca.bili senza senso. I sistemi ~iuridici della proprietà si trasformano col prevalere dell'una o dell'altra classe, cd ogni accre– scimento della forza proletflria reca in potenza un futuro assetto giuridico di cui possiamo ignorare i particolari minuti. .Non vi sono dunque riforme che conducono al socinlismo, mc1 riforme che accrescono la forza pro– letaria. 11 programma del Rignano può essere meno socialista di una legge che assicuri allo classi ope– raie meno ore di lavoro o pili scuole per istruirsi. ~.Jdeccoci davanti ad un'altra illusione in cui cade sovente la infantilità del pensiero rivoluzionario. So le nostre riforme non hanno alcun carattere finali– stico, cioè non si riattaccano ad un vasto piano di ricostruzione sociale, come distinguerle da quelle dei radicali~ E non saremmo per avventura noi stessi dei radicali inconsapevoli? :Xoi non abbiamo la yirtì.1 della divinazione, o non sappiamo a quali conclusioni verranno i radicali d'Italia convocati a Homa. Probabilmente, se essi sapranno sfugg-ire a quella sterilo accademia del ri– conoscimento delle i:stituzioni attuali - accademia venunentc ridicola in un partito di riforme attuabili nello stato presente di cose, e contrnrio, per dcfini- zione, ad ogni pregiudiziale -, noi crediamo che le riforme che saranno per additare non si allontane– ranno troppo da quelle che noi, seg-uendo la linea della minor resistenza e il criterio della maggior(' opportunità, riteniamo oggi pH1 utili e pit1 mature. Ma con ciò nò i radicali diventano socialisti, nè noi ci identifichiamo con loro. Il partito radicale, piì1 che rappresenta.re in Italia una classe distinta con contorni precisi) interpreta lo sta.to d'anima di tutti i ceti e le classi la,·ora– trici, che, con le loro varie forze, determinano il suo programma pratico. Quindi, se esso raccoglie gran parte del nostro riformismo proletario, vuol dire che la classe operaia è il nucleo pii, forte e più at– tivo degli strati popolari. i\ra chi ha suscitata questa forza? Non cedo i radicali, che non hanno una funzione di classe ben definita, e tanto meno un'impronta proletaria. La educazione e l'accrc,cimento di questa forza è opera nost.ra, e siamo noi che determiniamo i successivi equilibri sociali sui quali si plasmano i programmi dei partiti di governo. f1 nostro carattere specifìco ed esteriore non c-on– sistc noi fatto che le nostre riforme vengono subor– dinate ad un tipo di società comunista. Queste spe· culazioni possono affacciarsi al nostro spirito, possono costituire la filosofia della nostra azione, ma non sono - appunto pcrchè rimangono noi puro campo del– l'astrazione - un segno di riconoscimento e di dif– f'erenzazione. La. nostra opera è socialista i;iemplice– mente perchè si compio con il proletariato e a suo profitto. Così il socialismo, ritornando alle sue pure ori– gini marxiste e spogliandosi cli ogni scoria utopi– stic-a, passa dalla contemplazione di un fine e dalla preocrupazionc di congegni giuridici atti <ld avvici– narlo, alla sua funzione genuina, cioè all'accresci– mento dolio energie proletarie. Lrt. forza sostituisce Fidca. * * • Quale allora la ragione del dissidio che oggi se– para in due frazioni i socialisti d'li:uropa? 11 dissidio non è fra programma minimo o pro– gramma massimo, come mostrn di credere il Rignano, e come quel vacuo rivoluzionarismo che si fa consi• stere nella ripetizione monotona delle finalità socia• liste parrebbe confermare. rl dissidio è intorno al metodo con cui si accresce la forza proletaria e la si dirige alle sue conquiste. rn fondo il rivoluzionarismo non è che la conser– vaziono superstiziosa della parte caduca del pensiero pili antico di i\larx. Quando, i11torno alla metà ciel secolo scorso, in mezzo ad un'guropa dove la demo• era.zia pareva un piccolo germe destinato ad inari• dire, ::\Iarx ed ~ngels ebbero l'audacia orgogliosa di tracciare il destino di una classe appena in forma– zione e travagliata da. tutti i dolori della miseria, essi non potevano che affidare la rivoluzione prole– taria alle sorti cli una insurrezione fortunata. Che poteva mai sperare di pii, una classe ancora poco numerosa, divisa, inconsapevole, quasi abbrutita? M non era forse la rivoluzione il mezzo consueto con cui le classi della stessa borghesia avevano potuto, volta a volta, impadronirsi del potere, oggi in nomo del terzo Stato, domani in nome della. Hcsta11razione, con Napoleone prima, con la Hanta Alleanza poi? Anzi, poichè questa borghotSia si permetteva il lusso di conflitti violenti entro il suo seno, perchè non approfittare di qualcuna cli queste grandi crisi rivoluzionarie pc,· volgere il movimento a profitto del proletariato? l3isogna mescolarsi a tutti i movi– menti rivoluzionari della borghesia perchè il prole– tariato, con una specie di colpo di mano, s'im1>adro– nisca della l'ivoJuziono e la faccia sua - insegnava,

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