Critica Sociale - Anno XIV - n. 10 - 16 maggio 1904

160 CRIT!CASOCIALE aveva firmato la sentenza di morte di Cicerone si accin– ge,•a a rifare quello che a,·c,•a distrutto. I~una sorte che tocca a parecchi e non di rado, nelle turbinose vicende della storia. Senouchò Augusto dovette accorgersi presto che in ogni altra cosa le ragioni del bono e del male si bilanciano forse, fuori che in una, ed è quella che dà ragione deflnitivamouto allo dottrine pessimiste della vita: ohe cioè n.ll 'uomo è facile il distruggere, ma diffi– cile il creare. l'na forest.'\ ,·egetata in un secolo brucia. in un mo.se.L'n uomo cresciuto in venti anni è spcuto in un attimo. f:ra stato facile, 0011 gli editti di proscri– ;dono e i giudizi sommarì, trucidare, impo,·orire, mandar raminga quella nobiltà; ora, che Augusto ne aveva bi– sogno per essere da lei aiutato a governare l'immen::;o lmpero, sarebbe difficile ridare agli uomini la ricchezza, la fiducia, la forza, lo ;i;clo civico necessario alla loro missione! 11 Questa la conclusione morale del bel \'Olume. u·errero nde1·isce allo dottrine pessimiste della Yita, formula una conclusione che nel suo spirito poco si discosta da quelle del Bul'ke e del Taine sulla Hh'Oluzione francese. Una volta ancora non diremo che il consenatorismo riceve un valido aiuto, ma certamente un colpo non indifferente è \'ibrato cou la maggior grazilL possibile ad ogni dot– t.rina catastrofica ri\'oluzionaria colla rivelazione deg,li in<'Onvenienti gravissimi a cui di luogo l'interru;,;ione di ogni normale esercizio e sviluppo delle capacità. La teoria delle ,{fifes, tanto cara a Gaetano )losca cd a Vilfredo Pareto, fa un uuovo proselite nel settimanale commenta– tore politico del maggiol' giornale popolare di 1llilano. Xon entriamo a discutere so egli abbia ragione o torto i for:sopotremmo anche trovarci d'accordo. :\la dove se n 1 è andato l'ottimismo cno a lui fin qui pan·e tanto congenito? E non è proprio delle tempre conservatrici il pes~imismo e ltLsfiducia. in ogni audace e nuova iniziati va? E non pare al Ferrcro che, lungi dall'aderire o dal simpatiz– zare con certi gruppi affatto prescindenti da sani o scien– tifici criteri sulla eontinuili'L di S\'iluppo elle sola dà origino a solido formazioni storiche, valga meglio, per un popolo come il nostro, serbante ancora le traccio p:-:i– cologiche dì una rivoluzione violcntn, l'esempio di pode– rosi intelletti come il suo che propngassero la coscienza della complessità dei fatti sociali e della necessità, pcl' risol\•crli, di lunghe preparazioni psicologiche? Se gli storici, :-:egli psicologi, se i naturalisti, se co– loro insomma, che sono a contatto con la realfa impa– rauo a \'aiutarne i lentissimi moti e scml>ra che con i loro studi vogliano sempre più conferma.re l'idea che vi\•ero è apprendere le difficoltà. del destino, cessassero un po' d'essere e starsene chiusi eternamente dentro di sè! Dopo tanti secoli di fecli oltromoudane, dopo ta11to durare di aspettazioni apocalittiche nell'avvenire, noi abbisogniamo - e sarebbe il solo razionale - d'un con– cetto della ,•ita e d'un corrispondente sentimento che, rendendo al l)rcsentc il più di giustizia che gli è doruto, cc lo faccia amare nel conato stesso di migliorarlo. ln fondo, le aspettazioni apocalittiche noi campo dei fatti sociali non sono che un'eco dell'illusione paradisiaca e come tali devono estinguersi con J'arfle\•olirsi della causa inizialo. La nuova coscienza scientifica esige che si ami il presento por comprenderlo, J>Orsceglierne le parti degno di ilvilupJ)o. Col concetto di sviluppo, ogni cata.– stroftsmo, ogni artiflziosa coazione della storia nei limiti d'una formula appare folle più che vana. La democrazia italiana, nello varie suo frazioni, non ha..un'nnima collettiva informata a una visione scienti– fica della realtà ::;:ocialc;di qui l'intimo dissidio che la rode o corrode. Un anatema infatti scatenasi freddo e sicuro dalle pa– giuc del ferrero: 11011 solo l'anatema alle prepotenze militaresche, ma quello ad ogni violenza, ad ogni in– terruzione del processo normale dell'esperienza sociale. Quella nobiltà romann, che il secondo triumvirato avea proscritta e distrutta, era pure la depositaria della sa– pienza amministrativa e civile di Roma; con tutte lo sue deficienze, era il flore della saggezza politica e militare latina, era una formazio11e11atu)' (1.le c on cui niuna for– mazione artificiale avrebbe potuto competere per solidità, per tatto, per ereditaria lealtà alla cosa pubblica. E gli spiriti cominciavauo ad orientarsi clinuovo Yerso lo spi• rito della vita cresciuta sotto i suoi auspici; gli è per una ragione non dissimile che il popolo inglese venera la sua aristocrazia; il nostro sentimento di uomini di parte potrà disapprovar la cosa, ma essa nou cessa di avere un significato profondo 1>er lo storico e pel fi– losofo. Il riflesso ideale della rivoluzione in discorso è splon• didamontc tracciato dal l•'erroro, che a questo volume diede una organicità maggiore che non ai due pro– cedenti Coerentemente a questa ir.t.erpretazione del momento storico accennato, il F'errero delinea la flguradi Augusto. Egli si stacca dal comune modo di vedere, secondo cui Augusto sarebbe il continuatore di Cesare, l'instnuratore della monarchia; all'opposto, per lo corrcnli psicologiche accennate che rivolgevano le menti \'Orso il passato, Au· gusto viene ad essere l'instauratore della repubblica. Anzitutto il Ferrcro contesta che il problema debba porsi in termini di monarchia o di repul>blica. Neppure un nuovo Ercole od Atlante avrebbe potuto reggere da solo e senza collaboratori un così vasto Impero. Piut • tosto la questione era questa: doveva l'Impero essere go,,ernato da una burocrazia scelta e dipendente dal capo dello St.ato, o da magistrnti scelti dai Comizi o dal Senato solo tra i cittadini romani? li Yento conser\'atore che spirava non potO\'U.lasciar alcun dubbio in proposito. Era l'ora in cui Tito Livio preparava i materiali per la sua storia di Homa, che doveva essere l'idealizzazione del passato Governo aristocratico, con la sua diplomazia, la sua saggezza, Papotoosi dei vinli consen•atori e la severa condanna del vittorioso cesarismo. Era. l'ora delle Odi cirili di Orazio, spronanti Ottaviano a frenar la li– cenza dei costumi. Non è quindi strano che costui, es– sendo uomo per natura di passioni poco veementi, desi– deroso di riposo, semiinfermo, considerasse come impos– sibile la monarchia e sò stesso soltanto come un magi– strato della repubblica, un 1>1·inceps rei1mlilic<e, secondo il titolo conferitogli dal Senato. Nello spirito del tempo .Augusto non fu monarc11, fu citta,lino rivestito d'un mi– nimo d'autorità. Tale la tela e lo spirito dell'opera del ],'errero, nella quale non mancano pagine psicologicamente eloquenti ccl originali: ,•ed::msi i giudizi su Bruto, su Antouio: pnrtico– larmente la pagina su Cicerone, il primo intellettunle che penetra nella aristocrazia di Roma facendosene l'interprete e che Ferrero per importanza stima non inferiore a Cesare; ad ogni modo colui che aveva pre– veduto la catastrofe a cui la vecchia repubblica aristo • cratica andava incontro. Dopo questo volume non è pos– sibile clubitarn assolutamente della genialitil storica del suo autore. Veramente la storia in esso è vita inter– pretata. As-(H':J,O CBESPI. GIUSEPPE RIOAMONTI, gei·ente responsabile. Milano, zo·:. J9<H• Tipografia Opcrn1 (Soc. coop.), c. \"\ti. r.m. tz-16.

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