Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

2 J.lBEH TA' dei suoi lumi il Governo; che i poteri concent.rali nel Principe fossero ripartiti , equilibrati con efficaci contrappesi; j diritti del Sovrano e del popolo definiti , riconosciuti, assicurati di scambievoli guarentigie; che lasciata allo Stato l'unità governativa che ne fa la forza, si concedessero le possibili larghezze amministrative alle provincie ed al comune. Questi ~oli onesti e ragionevoli si spensero altra volla in conati o improvidi o troppo precoci; ma espressi , egli è oltre a un anno, con moderazione e dignità da molti buoni, con protervia ed impudenza da pochi tristi sortirono un effetto che non si saria neppur sognato. l Principi ilaliani dieJcro Costiluzioni forse più Jarghe che non si chiedea; e le diedero o perchè credettero di non dov.ere, o perchè sentirono di non poter opporsi a una tendenza, la quale nelle nuove dimensioni che avea prese ispirava qualche fiducia che la nazione vi fosse oggimai matura. Primo a darla fu il Principe che sariasi credulo esserne più lontano , che avria potuto tener saldo più lungamente, ed a cui la realtà della universale leudenza si presentava più incerta che a qualunque allro. E la diede con fra11chezza e con lealtà giustificate pienamente dai successi. La lotta antica tra l'assolutismo de' Principi e la li:- l>erla dei popoli parve cosi aver avuto fine tra noi. Fu bello, fu glorioso per la Penisl)la esser data una nuova vita senza quelle tempestose angosce, senza quelle agonie sociali che sogliono essere il prezzo doloroso sempre, ~pe;:,so aucor.l colpevole di <~cquistale franchigie. Senza colpo fer ire, senza versare slilhÌ di sangue noi entrammo nel sospirato arringo di popoli liheri , ed avemmo i no~tri Principi stessi {nercssità o largheLza non nwnl i.\ )

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