Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

DELL' AUTONOJ\IU ITALIANA. Ma pensate se i nostri rivolto~i volessero abbracci;~t· quella causa ! e~si che comin ciarouo ad opprimer la Chiesa prima ancora di a\•ere il potere civile t Quandl) lo nvcssero, farebbero a tutta Italia invidiare le riforme giuseppine. Si che il motivo <lrlla tir~•nnitle o non esi steva, o ' esisteva per un rispetto che non potea ~ì estare le ire patriolliche; anzi l' unica cosa che il nostro sacerdozio laicalc approvi nell' Austria, sono quelle usurpazioni sulla Chiesa. Messo cosi ()a banda codesto molivo, ricordato unicamente ùai pron1otori della guerra per gucrnire le declamazioni c per meglio riscaldare i cervelli , non ci resta che il solo titolo dell'autonomia nazionale. E questo propriamente è l'Achille della pugna, su questo si sono fon-i dali : questo si è dello diritto supremo , imprescriltibile, naturale, a cui nessun popolo non può rinunziare senza delillo, e che da qualunque popolo, il quale non voglia essere per elezione mancipio, si Jee rivendicare a qualunque prezzo. Si è dunque tacitamente presupposto , anzi si è esplicitamente insegnato e proclamato questo principio di dritto pubblico e naturale: r·ipugna alla naturale equità che una nazione , tutta o parte, sia suggella politicamente a Principe , a dinastia, ad assemblea straniera. Ma se vi venisse voglia d'intendere qualche ragione di codesta natural dpugnanza, voi non vi dovete aspettare altro che arringhe furiose da piazza e tla teatro, che maledizioni, che ingiurie, e questa tra le prime, che siete lancia venduta al tedesco e spasimate per la tirannide. Ma supponetemi in corpo .per lo straniero allrellanta av-

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