Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

DELL' AUTONO~IA ITALUti(A. Si ment,irono torti, si esagerarono ingiurie, si inv~ntaron \'illorie: i procaci insulti, le villanie plehee ontle si offese la invtolahilità degli agenti fliplomatici anstriaci , e fino le dimore e le persone d'innocui tedeschi che abitavan l'Italia, sono eccessi da arrossirne non dirò un animo cos tumalo , ma un paese selvaggio. Frallanto si constrin · gevano i Principi che, venuti vi a malincorpO", o se ne rHraevano come prima ne avevano il destro, o pur reslandovi ponevano ogni studio a temporeggiare per almeno risparmiare il sangue. Nè si potea contare sul concorso spontaneo <lei popoli , in quanto i popoli non eccitati dalla lirannide austriaca · che non ha realtà, non aveano altro eccitamento, che la pecunia d'ci ricchi ; si che, questa venuta meno, il popolo è rientrato nelle antich~ sue ahitu<iini , presto a gridare Viva il Tedesco 5~e q.uesli ha l'arte di farlo star più contento. Talmente ~he tutto il nerbo di quella campagna doveano essere le falangi patriottiche ed universitarie, che parlivane e tornavano gloFiose ugualmente della presunta vittoria e <iella toccata sconfitl:l; se pur non vi piaccia cO"ntarvi le nuove Penlesilee e i preti e i frati col fucile ad armacollo,. i quali enlral·ano come spes ullima 1'eucrum. Saria stato niente altro che una farsa e una commedia, se non ci avesse avuto un po' di regolar soldalesca clie , sacrificandosi al dovere ffella militar disciplina,. dava pruove di un valore degno non dirò di causa più bella; ma certo cti titolo meno ingiusto. Ma a quell' esercito stesso si togliea l'animo sfiduciandolo del su<"ccsso. Tutto qnel tempo fu parlato del procurare al P'iemonte qualche Generale (fi fuori; il che era un profess·are che non si aveva di dentro. Nondimeno si andava, e dico IMglio si spiugcva, perchè l' rtatla , 4

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