Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

16 LIBERTA' essere desiderala se non da chi intende valersi di quella inerzia civile per tiranneggiare da de~pota. Ma ragionando da uomini, ci saria dovuto parere somigliante a miracolo se con una Società cosi disposta fossimo riusciti n metterei sulla ,,ia una monarchia temperata; alla quale avremmo avuto duci leali e cooperatori i medesimi nostri ])rincipi. Travolto per sommo tradimenlo quest'onesto concetto di liuertà, ora è problema se possa la patria nostra continuarsi sù quella via, alla quale longi di conciliarsi la moltitudine, ha avolo troppe ragioni di dichiararsi più avversa. Se questo non ci vien fallo , l' oppressione, la schiavitudine demagogica, il regno del terrore sara la nostra porzione, ed il regresso all'assolutismo l' unico nostro scampo. Meno infelice di tutte è la parte della Penisola che ha meno incerta speranza di mantenere le sue franchigie , e sla più vicina allo scampo, ove mai le avvenisse di averne uopo. Il Governante che la regge ci sembra non tanto aver salvati i suoi diritti, quanto aver compiuto uno dei più sacri suoi doveri, allòrchè colla risolutezza dell'animo e colla forza del braecio ha potuto mantenere un ordine legale nella contrada più hella e meno depravata della Italia. Se un abuso svergognato di pargle ipocrite non ci avesse oggimai falsato tutti i concetti di verità e di giustizia , Napoli dovrebbe al suo re bumbardrJLore una immortale riconoscenza. Essa gli deve il non essersi vituperata in faccia all'Europa ed alla storia , il vivere una vita civile e la speranza di mantenere ed usufrulluare le ottenute libertà cilladine. Se il principato fosse una istituzione in bene del Principe, intenderemmo caè ci si potrebbe riuunz.iarc senza colpa e talora

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