Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

130 CONCLUSIONE. nia , la Grecia , P Illiria , la Dalmazia , c venne a fermare il suo seggio nella Halia. Ma si andò poscia mano mano ritraendo da quelle già si culle e si catloliche contrade: Orrrri il lembo orienlale della Penisola uon è diviso ùallu :lO scisma, dalla eresia c dall' Islami smo che per le venli cin- <JUC o trenta leghe dell' Adriatico. Crescono le apprens ioui al vedere la nostra inerzia, il nostro or~ oglio, ma soprattutto al considerare i maraviglios i acquisti che sta faccuùo la fede ca ttolica nelle Americhe , le quali sono per· noi l'estremo occidente. Forse i veri incivili tori dell'Asia scioglieranno dall' Oregone , dalle due Californie e dal Guatimala, per mostrarsi dall' Oriente al Giappone ed alle sponde sinuose del Fou-Kien. Spuntata colà l'aurora , per noi sarebbe suonata l' ora dell' annoltare. Più felice è l' altra parte dell'alternativa , la quale è che nella Italia il senno e la r eligione della maggioranza riesca a spegnere il conato demagogico ed eterodosso ; talmente che si trovasse essa in condizione da mettersi al paro colle altre contrade di Europa, per entrare nell' univcrsal movimento. Sarebbe la prima volla a toroarci ulile la imitazion forestiera in questa parte l Allora il fat icoso tirocinio, che al resto di Europa costò tre secoli ù i sventure, a noi non saria costalo che tre anni di palpi ti : acquisteremmo cosi un nuovo titolo a quella preminenza che Iddio graziosamente ci accordava, e della quale nor ci stiam ruostt·ando pur troppo indegni l Ci è dolce bearci di questo pensiere r è come il sogno del pri gioniero che pregustando i puri diletti dell' aria campestre e del domestico tetto, sente meu pesanti i suoi ceppi e meno amare le sue privazioni. D'altra parte coosidcrauùo il poco che ci vorre.UI.Je per ollencrlo, ci

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