Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

116 DlltTTO E DOVE'RE pieghi; ma i1 manto di Argo slà li, e sfido quaiunque Governo che voglia vivere, a spogliarlosi anche per un sol giorno. l/ ultima scossa che ebbe la religione nel cadere del passato e nel cominciamento di questo secolo, fece che i Governi , benchè con eserciti permanenti e con Polizie oculatissime, si trovarono impotenti ad assicurare la vita della Società, ed invocarono il braccio dci pacifici cittadini istituendo le Guardie civiche o nazionali. Il quale maraviglioso progresso dell'età moderna, tra- · dotto in buon volgare, significa che ogni cittadino dee ~tarc innanzi alla porta della sua casa con in una mano la haiouet ta e nell'altra il fucile , a difendersi la propria v i ta , le proprie donne e le proprie sostanze. Dovremmo essere troppo sori per non ci accorgere, che questo è quasi un rcgresso alla barbarie, uuo stato poco meno che di selvaggio. Tolga Dio che io non pregi le armi cittadine; che io non vcgga quanta riconoscenza lor debbano alcune <:iltà della l tali a e della Francia, salvate per esse dall' anarchia. Dico solamente che il nuovo bisogno di aver· le, ci è indice infallibile di un nuovo mezzo di repressione materiale, reso necessario dal sempre più scader che ft1cciamo nella onestà e nella religiosa. Nei momenti di civili agitazioni è bello sapere che le migliaia di cittadini vegliano sotto le armi presti a dar la vita per la Ralute pubblica ; ma pensiamo che sarebbe assai più bello, se quei momenti di agitazione non venissero , se quelle migliaia di ciltadini senza far palpitare le spose, Je figliuole c le sorelle, si potessero restare nel domestico letto ad attendere alle proprie faccende, riposando la salute p.uhblica sotto Ja salvaguardia della moralità universal~.

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