Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

DI REPRESStO~E. 111 lerto avrà' a ~ran mercè tornarsi alla contlizione Ji Dura tr<t i gioghi pitloicschi delJa Savoia. Quello che il Pontefice non potè, che il Carignan() non seppe o non volle , potè , seppe e volle farlo il Borbone. E con ciò solo salvò a sè i suoi diritti ed il suo decoro; ma che più monta , salvò il suo paese dai danni e' dalle vergogne dell'anarchia o Jella demagogia, con una fortunata eccezione, che formerà 1:-t pagina più bella dalla storia n:lpolitaua. Se nella Penisola ci ha Stato dove il s istema rappresentativo dà sper'anza di ullignare, è appunto Napoli. E allignerà e darà i suoi frutti se gli onesti , che son quasi tutti , deposti i sospeltt e le ombre, si risolvano a stender la mano alla cosa pubhlica nell'uso Jel suliragio per le· elezioni; se il Governo vorrà deporre quelle incertezze , che tuttavia ne rendono meno efficace l'azione e saprà più e meglio giovarsi delle vie morali. Le mezze misure che stanno da qualche secolo sconvolgendo il mondo, potrebbero far portare a Napoli tutta la odiosità di aver voluto reprimere, senza cogliere il frullo di averlo fallo. Per ora al buon senso di quel paese ed alla lealtà e religione non ipocrita di quel Principe , la Provvidenza apparecchiava un premio, che può ben conpensarli di tutte le calunnie ed invettive scagliate dalla demagogia disperata. Se In Italia non ebbe l'onta che il Pontefice Jovesse cercare ;~si lo in terra forestiera , lo deve all'ordine civile serbato in Napoli. Quell'ospite illustre, invidiato a Gaeta dal mondo tollo, al cuore ferito dalla sconoseenza dei suoi suggelli avrà trovato, ne siam c'erli, un balsamo nella riverenza illimitata c nelle sollicituclini amorevoli, onJe Principe e popolo seppero circondarlo. '

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