Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

t10 DRITTO E DOVERE malaugurata coll'Austria. Egli non ci volea IJÌÙ che imporre di ritirarsi ai faziosi che imperiavano nella Camera torinese, perchè il posto usurpato da un partito fosse occupato da una Carnera veramente nazionale , e forte del suffragio non di quindieimila elellori , ma di un milione di cilladini, quanti ne contano le dodici centinaia di migliaia di famiglie negli Sta ti sardi. Il non aver fatto questo , l'essersi lasciato portare dal grido delle piazze , e dalle pretensioni dei clubs, a lui ed al suo paese ha fallo pa- · gar troppo caro il ti tolo di pater patrim onde l' i pocrila adulazione salutavalo. te migliaia di vite mietute sui campi di Custozza e sotto le mura di Verona; il pubblico erario espilato e che dovrà rimpinguarsi dalle private fortune; Jo scandalo di una persecuzione religiosa sotto un Principe cattolico; le diatribe antipapali che si stan fa - cendo nelle Camere torinesi ; diatribe di cui oggi vergognerebbero la dieta di Francfort e l'Assemblea di Parigi, e che alla eterodossia ereticale e comunistica aggiungono lo schifoso cd il ridicolo della più codarda ipocrisia; io scadimento morale, consequenza di quella persecuzione, l' oppressura sotto cui geme la vera nazione, la maggioranza degli oncsli cittadini; ma soprattutto la immensa responsabilità innanzi a Dio e innanzi agli uomini , ecco i frulli che sta cogliendo il Piemonte dall<l maravigliosa e tulla filanlropica tolleranza nel non a'·ere imposto silenzio a nn branco di scolari discoli e di avvocati falliti che, stravolli il cervello dai fuorusciti reduei e dai comunisti · francesi, strillavano da energumeni pc l' le contrade. Ma meglio si vedrà nella conclusjone : quando o l' eserrilo haleni , o il partito sia in grado di non temerlo , la democrazia pura è apparecchiala; e Carlo Al-

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