Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

DI REPRESSIONE. 109 ma esse banno il piccolo inconveniente di fare di un pop-olo baUezzalo una bestia da soma, abbandonato senza schermo a tutti gli ambiziosi che san meglio servirsene a proprio guadagno. Si consideri la verità della teoria nel pratico dei falli che abhiam sotl' occhio. Allorchè l' {)neslo e universal desiderio di riforme civili, secondato generosamente dai Princ.ipi, degeflcrò in opera di partito, i tre precipui Stali della Peuisola si lro- ' 'arono i-n diver-se condizioni, e presero diverso atteggiamento. Pio I X non <\vea forze , e non potè però ricorrere a quel mezzo ; Carlo Alberto l'aveva, avrehhc potuto, ma non volle o non seppe adoperarlo; Ferdinando lo potè, lo volle e lo seppe. li Pontefice adunque che in difetfo delle armi volle apparecc~iarsi un appoggio fidatissimo nei benefizi e nell'amore dci suoi popoli , vedutolo venir meno , non potea ai suoi diritti e alla sua dignità pronc<lcrc meglio ùi quel che ha fallo. l.a tirannide <1 emocralica ne dovea essere l'effetto, e n'è stato, trae11dosi dietro il corteggio -della intolleranza religiosa, degli spogliamenli , delle proscrizioni e rlel terrore. Ma per quell'infelice paese la salute non istà che nella fona: una intervenzione straniera i> imposta dagl'interessi della Chiesa, c.lel Caltolicismo, della umanità ed è suggerita alla stess'ora al Pontefice da11o estremo a che si trovano i suoi popoli , che avviliti, -abbiosciati ed oppressi gli stendono lagrimosi le mani. Il Carignano avea le armi, e avrebbe certo potut(') adoprarle: forse saria bastato il sol mo~trar di volerlo; e ci avvisiamo che il suo esercito avria fallo miglior pruova i« difendere le libertà cittadine, che non nella guerra

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