Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

108 DRITTO E DOVERE nostre e de' nostri maggiori? ovveramcnte sa·remo d>ell~ macchine, degli automi governali dalla verga del Dio Stato, commessa alle mani dei demagoghi Mazzini, degti atei Prouùhon e dei loro consorti ? E non sarcnw propriamente a qu.esto, qua_ndo lo Stato avrà assorbito lutto, facendosi pcdagogo, maestro, industriale, artefice ed artista, come fa il portatore di leUere ed il fabbricante di tabacchi ? li diritto al travaglio .. il diritto all' assiste11z.a • non imporla propriamente q,ueslo? e come potrebbe uno Stato occupare tutte le braccia, provvedere a tutti i bi.- sogni , se no.n ha la libera d.isposi zione di lulle le peysone e di tutte le fortune? Una Società costiluita a questa maniera sarebbe egli allr.o che un branco d,i pe.- eore?· All'aspetto di una quistione sulla vila e sulla morte della Società, fa nausea e dispello l' intendere gli encomi della moderanza e della clemenza verso chi c'insidia ogni bene umano e divino: fino la esistenza civile! A sentire codes ta nuova specie di pubblicisti _, gli spedienli vigorosi, l' uso della f(nza ,. il ricorso alle armi debbono lasciarsi ai faziosi. Cosi quei mezzi, efficacissimi per rovesciare Wl Governo onesto , ci sono per nulla a rialzarlo o a rovesciarne un in iquo. Gli uomini pacifici debbono confidarsi nella giustizia d-ellà loro causa , nella forza morale del diritto, e soprattutto nella Provvidenza ; quasi che non si fosse mai vista la giustizia oppressa ed il diritto calpesto; e quasi la Pro-vvidenza negli aiuti che ci pr;ome(l~ , escludendone il nostro· concorso,. a-vesse apparecchiato. un p re- . testo alla nostra inerzia. E son davvero quelle dottrine comodissime pet Ja, co--- dardia che le inventa e per la ùemagogia che n,e· profitl~ l

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