Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

DI REPRESSIONE. 107 legge, porta i pesi non leggieri delle imposte e dei balzelli a questa precipua condizione di essere assicuralo uell' esercizio dei suoi diritti. Che se , venuta l'ora del rischio, l'autori la per non parer disumana o per parere progressiva e tollerante , lo ahbanclona; se il gendarme {rateTniua coll'assassino; se il Consiglio di Stato se la inteude col club centrale, se in somma il Governo è complice della demagogia, ogni ones l' uomo si vedrà alJa tremenda alternativa o di sornmettersi alla tirannide, come è successo nella Italia superiore , o di lottare corpo a corpo coll'aggressione e c.olla rivolta. Allora io chieggo: in che differisce questa condizione da quella del barbaro e del selvaggio? Un Governo che sospinga a tali estremi i governati s'inganna bene all'ingrosso, se crede òi conservarsi per questo mezzo. Esso dichiarandosi incapace della precipua s ua missione , reca jn forse il suo diritto; nel fatto poi trovera la morte nelle mani stesse della rivolta verso cui si volle mostrHe tollerante e clemente. Ob 1 guardale! scriveva non ha guari un forle ingegno: la Societa è alle prese con selvaggi della più trista generazione, sbucati non dalle foreste, ma dal fango di una civiltà corrotta e corrompitrice! Con essi non si tratta di dottrine poliliche e religiose, di tale o tale altra forma di Governo: non si tratta di sapere se saremo monarchi ci o repubblicani; cattolici , prolestanti o ebrei. la quistione è questa; resteremo noi uomini o diventeremo bestie? v :li quanto dire conserveremo noi per noi, pei nostri figli il diritlo di avere un'anima, un pensiero, una coscienza indipcnùeute? conserveremo noi il dirillo cl.i disporre della nostra persona, del frutto delle fatiche

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