Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Movimento socialista e questione meridionale "Sono tumulti - si continuerà a dire - dovuti all'ignoranza e alla bar– barie; bisognerà aspettare che l'evoluzione della civiltà dia i suoi frutti; in attesa, badiamo alle nostre faccende, dal momento che non c'è altro da fare." - Non c'è altro da fare? - Ecco l'errore. - Qui c'è molto, qui c'è tutto da fare. E lasciare che la tempesta sanguinosa si avvicini e scoppi, cullandosi nella comoda teoria che "non c'è altro da fare" significa rendersi complici necessari dei mali che quaggiu si preparano. Chi scrive queste pagine, non s'illude che esse producano effetto di sorta. Troppa gente, al Nord e al Sud, è interessata a lasciar che le cose vadano per la vecchia strada, sia perché ci guadagna positivamente, sia perché non sa fare lo sforzo di uscire dalle frasi fatte e dai tradizionali schemi mentali. Ma siamo intesi che noi della Voce lavoriamo alteri sae– culo: per una nuova generazione di uomini, che oggi è sui venti anni e che speriamo ci liberi fra una ventina d'anni da questa genia di deficienti e di amorali, che domina oggi l'Italia. Ai giovani sono dirette queste "considerazioni di un barbaro." Chissà che qualcuno di essi non si con– vinca che la barbarie, nell'Italia meridionale, non bisogna cercarla nelle folle che tumultuano, ma molto piu in alto e molto piu lontano. I. Lazzaretti, isolamenti e coreografia sanitaria La povera gente t,eme alla follia il lazzaretto e il locale d'isolamen– to. - È segno di ignoranza e di inciviltà. - D'accordo. Ma io, che credo di non peccare di eccessiva presunzione se in fatto di sapienza e di civiltà mi reputo non troppo inferiore a un becero di Firenze o ad un pella– groso del Veneto, quando faccio sinceramente il mio esame di coscienza, non posso non ritrovare in fondo alla coscienza medesima uno spesso strato di quella specie di barbarie, che si chiama affetto familiare, e che proprio in questo caso verrebbe certamente a galla. Perché, se io avessi famiglia, e una persona a me cara fosse presa dal colera, e sapessi che non appena denunciato il caso il mio diletto sarebbe strappato a me e portato forse a morire in un lazzaretto fra persone estranee, mentre io sarei sbal– zato a tre chilometri di distanza ad aspettare il mio destino fra altri estranei, - io non so se avrei il coraggio eroico di denunciare il caso. È un sentimento barbarico, lo so: e non pretendo di difenderlo. La civiltà mi ha insegnato che devo subordinare i sentimenti miei piu cari alle esigenze della collettività. E vorrei poter dire a me. stesso che in caso di bisogno sarei capace dell'eroismo che la collettività giustamente esige da me. Ma una povera donnicciola, della quale la signora collettività non si è mai prima occupata, e se ne ricorda solo ora che deve andare a imporle l'obbligo dell'eroismo, in un furore di filantropia che è fatta piu di egoi- 436 BibliotecaGino Bianco

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