Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La diplomazia italiana nella guerra_ mondiate Salandra nelle sue memorie riconosce che la popolazione della città era in maggioranza italiana, e si picchia il petto per questo "abbandono." Ma si scusa facendo osservare che Fiume "fino al primo decennio del se– colo nostro, aveva lottatò per l'autonomia e non per l'annessione all'Ita– lia. Un irredentismo italiano vi era sorto da pochi anni per virtu di un grup– po non molto numeroso di giovani colti e animosi. In Italia in quel tem– po non si annoverava Fiume fra i fini della guerra." D'altra parte, i paesi retrostanti a Fiume - cioè la Croazia e l'Ungheria - avevano bisogno di questo porto per il loro commercio (L'i"ntervento, pp. 195-6). È senza dubbio esatto che fino all'autunno del 1914 un movimento irredentista apprezzabile non si era manifestato per Fiume né fra i fiu– mani né in Italia. Ma le lotte nella città autonoma erano state continue e clamorose fra italiani, croati e magiari. La responsabilità di Salandra e di Sonnino consisté non nel non avere pensato ad annettere all'Italia an– che Fiume, ma nel non avere pensato a garentire la situazione della mag– gioranza degli italiani nella città autonoma contro le prevedibili prepoten– ze del nazionalismo croato o magiaro nella nuova sistemazione dell'Adria– tico orientale. Prima dell'autunno del 1914 non esisteva un movimento ir– redentista apprezzabile neanche riguardo alla Dalmazia. Ma per la Dalmazia c'erano le immaginarie ragioni strategiche e le inconfessabili ragioni commer– ciali. Per Fiume, sarebbe stato infantile invocare ragioni strategiche. Gli in– teressi commerciali. degli armatori triestini erano stati soddisfatti con l'an– nessione della ferrovia Fiume-San Pietro. Perciò la maggioranza italiana di Fiume poteva essere abbandonata al suo destino. La brutalità che presiedette la elaborazione del promemoria del 16 febbraio si manifesta specialmente nel macello che in quel documento Son– . nino fece dell'Albania. L'Albania, divisa fra tribu semi-barbare, cattoliche, maomettane e gre– co-ortodosse, non avrebbe potuto fare altro che dilaniarsi in rovinose lotte intestine, se fosse stata abbandonata a se stessa. Serbi e montenegrini al nord, e greci al sud erano pronti a cadere sul paese come avvoltoi affa– mati. Faccendieri austriaci e faccendieri itaiiani fino al 1914 avevano ag– gravato il disordine con le loro rivalità meschine e disoneste. I diploma– tici delle cosi dette Grandi Potenze, se avessero avuto un briciolo di buon senso e di cuore, avrebbero preso sotto il loro controllo il paese, affidan– done il governo a una commissione internazionale che vi avrebbe mante– nu~o l'ordine, costruito strade e ferrovie, bonificate le zone paludose e ma– l~~iche, impiantato scuole di ogni grado, espropriato economicamente e po– h:icam~nte la malefica minoranza feudale dei Bey, organizzato la popola– ~10ne in cantoni autonomi simili a quelli della Svizzera ed educato gra- atamente le nuove generazioni albanesi a vivere una vita degna di un iopolo_ civile e a fare a meno prima e poi di ogni intervento estraneo. Sul– a fine del secolo XIX il Concerto delle Potenze, dopo la rivolta di Creta contro la dominazione turca (1896), prese sotto la sua amministrazione 535 BibliotecaGino Bianco

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