Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La diplomazia italiana nella guerra mondiale rebbe la flotta a tenere le isole" 1 : cioè in caso di guerra la terraferma avreb– be dovuto essere abbandonata... temporaneamente. Il generale dimenti– cava che se fosse stato adottato il suo piano l'Italia avrebbe dovuto presi– diare in tempo di pace la terraferma dalmata con forze abbastanza nume– rose per non essere fatte a pezzi in una rivolta delle popolazioni locali, 0 in una sorpresa proveniente dal retroterra. Quindi il problema della di- . fesa terrestre, con tutte le sue difficoltà logistiche e con tutto il suo peso finanziario, non poteva essere evitato. Immaginarsi poi quale effetto morale si sarebbe avuto in Italia e nel mondo se le forze italiane non appena scop– piata la guerra avessero abbandonata la terraferma dalmata per ritirarsi nelle isole. Del resto lo stesso generale Corsi, nell'ottobre 1918, spiegando che l'armistizio da imporre all'Austria doveva contenere "tutte le condizioni di pace salvo le modalità dell'esecuzione," dimenticò di avere predicato la ne– cessità di conquistare la Dalmazia continentale, e scoprf che bastava esi– gere la demolizione di tutte le fortificazioni sulla costa orientale dell' A– driatico, la consegna di tutto il materiale bellico e la "consegna di alcune isole dalmate, che saranno ritenute sufficienti a garanzia dell'armistizio" (Tri– buna, 25 ott. 1918). Clemenceau aveva ben ragione quando sentenziò che la guerra è un affare troppo serio perché possa essere affidato a militari. Il capo dello Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Cadorna, ha rive– lato nella sua opera, La guerra sulla fronte Italiana (I, 68), che egli rite– neva un errore strategico una occupaziqne sulla terraferma dalmata perché questo avrebbe obbligato l'esercito a presidiare in Dalmazia una frontiera terrestre lunga circa 300 chilometri e indefinibile contro un attacco che partisse dal retroterra. Salandra e Sonnino non promossero nessuna consulta– zione in comune fra i due Stati Maggiori della Guerra e della Marina, qua– si che la guerra terrestre e la guerra navale siano indipendenti l'una dall'al– tra e un paese possa risolvere i problemi navali senza tener conto dei pro– blemi terrestri e viceversa. Lo Stato Maggiore dell'esercito fu consultato sulla frontiera terrestre, e lo Stato Maggiore della Marina sulla frontiera navale piu conveniente. Quando i due Stati Maggiori ebbero cucinato cia– scuno per conto proprio la propria pietanza, Sonnino le mise tutt'e due sullo stesso vassoio e le serv1 in tavola. Secondo il progetto del 16 febbraio non tutte le coste orientali dell'Adriatico passavano sotto il controllo italiano. Rimaneva sempre a sud della penisola di Sabbioncello quel tratto di costa che arriva a San Giovanni di Medua, con le bocche di Cattaro, senza contare i porti di Gra– vosa, Ragusa, Antivari, Dulcigno e San Giovanni di Madua. Per elimina– re ogni pericolo di concorrenza militare nell'Adriatico, sarebbe stato neces– sario occupare anche le coste della Dalmazia meridionale, del Montenegro e_ dell'Albania settentrionale, aggiungendo altri 200 chilometri alla fron– tiera terrestre da presidiare su un terreno disperatamente difficile. Per evi- 1 CORSI, I_l problema Adriatico, in "Nuova Antologia," maggio 1917. 533 BibliotecaGino Bianco

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