Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte quinta tentrionale, fino a San Giovanni di Medua, e alla Grecia l'Albania meridio– nale a sud di Chimara, purché l'Italia avesse ottenuti tutti i territori da essa rivendicati nell'Adriatico. In questo caso, però, la parte centrale del- 1'Albania fra San Giovanni di Medua e Chimara, che era abitata da mu– sulmani, doveva essere costituita in Stato indipendente col porto di Duraz– zo, e le coste dalle Bocche di Cattaro al Capo Stilos dovevano essere neu– tralizzate. Nell'alto Adriatico il destino del litorale fra la futura Istria italiana e la futura Dalmazia italiana, del porto di Fiume e delle quattro isole non rivendicate dall'Itaija, doveva rimanere impregiudicata "nell'interesse del– l'Ungheria e dalla Croazia." Nel Mare Adriatico doveva rimanere impregiu– dicato "nell'interesse della Serbia e del Montenegro" il destino della co– sta a sud del Narenta e delle minuscole isolette non rivendicate dall'Ita– lia. A guerra finita "l'Europa" avrebbe assegnati questi territori. Il pro-memoria si sperdeva in un pelago di minuzie che noi omet– tiamo per evitare che la lettura di queste pagine riesca troppo asfissiante. Sonnino non si limitò a dire che il confine verso la Slovenia doveva arri– vare al displuvio che va dalla Sella di Tarvis a Idria. Senti il bisogno di spiegare bene che la linea di confine doveva includere il Passo del Predi!, e il Monte Mangart, e il Monte Terglou e i passi del Podberdo e di Pod– lanischam. Non gli bastò dire che il confine dell'Istria doveva scendere sul mare ad ovest di Fiume: senti il dovere di definire che esso doveva includere e Castua, e Matlis, e Volosca. La Dalmazia fino a Narenta, nei confini amministrativi del 1915, non gli era sufficiente. Aggiunse che den– tro quei confini c'era a nord la città di Tribanj, e anche quella di Starigrad·, e anche quella di Nona, e anche quella di Ljubac, e anche quella di Novi. Non gli venne mai in mente che se fitalia avesse vinto la guerra, i suoi de– legati tecnici avrebbero risoluto sul terreno i problemi di dettaglio in base al progetto di massima; e se la guerra fosse stata perduta o si fosse con– chiusa con un compromesso, tante minuzie e lo stessò progetto di mas– sima sarebbero andati a finire nella spazzatura. Egli avrebbe potuto doman– dare "tutte le isole dell'Adriatico settentrionale e centrale," meno le po– che a cui rinunziava, ma aveva paura che qualcuno gli portasse via di ta– sca qualcuna di quelle isole preziose. Perciò eccolo ad enumerare pedante– scamente tutte quelle a nord e tutte quelle a sud, una per una, come l'a– varo conta gli scudi nelle calze di lana: Cherso, e Lussin, e Palznik, e Unic, e le Canidole, e Sansego, e le Oriole, e Palazzuoli, e San Pietro di Nembi, e l'Asinello, e Griuca senza dimenticare "gli isolotti vicini," e Pre– muda, e Salve, e Ulbo, e Maon, e Pago, e Puntadrera, e Santandrea, e Busi, e Lesina, e Curzola, e Gazza, e Lagosta' senza detrimento degli sco– gli vicini, e Meleda, e Lissa, e Palagosa. Sembrava avesse messo insieme quel rosario di nomi locali superflui, molti dei quali evidentemente slavi, anche quando erano italianizzati, col proposito di rendere facile l'accusa di "imperialismo" contro un'Italia che non si contentava mai di doman- 526 BibliotecaGino Bianco

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