Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La diplomazia italiana nella guerra mondiale de maggioranza dei deputatì, dei senatori, e dei giornalisti influenti pre– se un atteggiamento di aspettazione prudente. A somiglianza di San Giu-. liano e Salandra, dopo trentadue anni di Triplice Alleanza, essi non sapevano disfarsi delle loro idee tradizionali. Ammiravano la Germania e piu ancora ne avevano paura. Prevedevano la vittoria tedesca. La batta– glia della Marna non scosse le loro previsioni. (Queste ·previsioni probabil– mente si sarebbero avverate, se gli Stati Uniti non fossero intervenuti nella guerra.) Per<::iòtemevano che l'Italia, rimanendo neutrale fino alla fine, si esponesse alle vendette degli antichi alleati dopo la loro vittoria. D'al– tra parte erano disorientati dall'intransigenza del governo di Vienna sulla materia dei compensi. Speravano, però, sempre che il governo di Vienna fa– cesse di necessità virtu e si decidesse, sotto la pressione di Berlino, a fare qualche concessione ragionevole. In conseguenza trovavano naturale che il governo italiano, dopo avere dichiarato la neutralità, continuasse a negozia– re coi due governi alleati e intanto spingesse avanti gli armamenti per ren– dere il proprio intervento piu desiderabile. Quando fosse stato generosa– mente cointeressato dagli Imperi centrali ai profitti della vittoria, e spe– cialmente se la bilancia militare avesse traboccato piu nettamente in loro favore, il governo italiano avrebbe potuto indurre il paese a intervenire a favore degli antichi alleati. Pur di evitare il naufragio dell'alleanza, si sarebbero contentati del Trentino, di una qualche rettifica di frontiera verso Trieste e di qualche promessa di equo trattamento per gli italiani che sa– rebbero ancora rimasti incorporati nell'Impero degli Absburgo: tanto, insom– ma, da tacitare gli irredentisti, o almeno da rendere impotenti gli estre– misti, isolandoli da quelli che erano di piu facile contentatura. Ma piu territori il governo fosse riuscito a strappare nelle trattative col Gabinetto di Vienna, tanto meglio. Avevano una mentalità da mercanti di cavalli. Fu– rono chiamati "neutralisti." - Ma non erano "neutrali." In fondo la neu– tralità era per essi una trincea provvisoria al cui ;iparo aspettavano il mo– mento opportuno per uscire all'aperto e mettersi dalla parte degli Imperi centrali. Si afferravano alla neutralità come all'ancora che impediva al pae– se di essere trascinato nella guerra a fianco dell'Intesa. Ben diversa era la neutralità propugnata dal Partito Socialista Italia– no. Questa neutralità era assoluta e definitiva. I piu moderati fra i socia– listi, i cosf detti "riformisti," erano semplicemente pacifisti. Il pacifismo ha questo vantaggio che non richiede nessuno sforzo mentale. I rivolu– zionari, invece, sostenevano, a somiglianza di - Lenin, che la sola guerra a ?ui il proletariato dovesse dedicarsi era la guerra contro la società capi– t~hsta. Invece di intrigarsi nella cosf detta "difesa della patria" il proleta– riato doveva scatenare la rivoluzione sociale, mettendo a profitto la "crisi della società capitalista" che Marx aveva vaticinato e che finalmente era arrivata a maturazione. I socialisti rivoluzionari italiani continuarono a ri– petere implacabilmente queste giaculatorie durante la guerra, e quelli che sono ancora vivi continuano a ripeterle tuttora (A. D. 1940), con fede 499 BibliotecaGino Bianco

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