Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La diplomazia italiana nella guerra mondiale Fu questo l'ultimo viaggio di andata e ritorno che San Giuliano· fece fra l'Intesa e l'Alleanza. Il 12 ottobre la gotta, che lo tormentava atro– cemente, si aggravò; e il 16 ottobre lo trasse a morte. Il trattato della Triplice, nell'articolo 1, faceva obbligo alle parti con– traenti, •di "non entrare in alcuna alleanza o impegno, che fosse diretto contro uno degli Stati alleati." Come conciliava San Giuliano quest'obbli– go, che egli non disdiceva, con le conversazioni di Carlotti con Sazonoff e di Imperiali con Grey, per una eventué!le adesione dell'Italia alla Triplice I " E " . ." "' 11 " ntesar rano conversaz10m ; non erano un a eanza ; non erano nean- che un "impegno"; San Giuliano non voleva chiamarle neanche "trat– tative." Ma non si arriva ad una alleanza senza prima conversare; e non è politica da uomini d'onore conversare coi nemici dei propri alleati per vedere se c'è modo di arrivare con essi ad una alleanza, e questo prima di aver disdetto il trattato che v'impegna a non "conversare." Le regole morali a cui deve obbedire un ministro degli affari esteri nel– la sua condotta diplomatica, non sono quelle che reggono la vita privata dell'uomo onesto. In verun paese civile una donna che si rispetta ammette– rà nel suo salotto un uomo di cui si sa che ha fal~ificato una cambiale. Ma quella stessa dama si terrebbe onorata di ricevere il principe di· Bi– smarck, pur sapendo che nel 1870 egli alterò il cosf detto· "telegramma" di Ems col proposito di rendere inevitabile la guerra franco-prussiana. Nei rapporti internazionali non si perde l'onore per atti che ·sarebbero disonore– voli nella vita privata. Del resto anche nella vita privata vigono codici morali differenti secondo_le diverse professioni e circostanze. La morale del finanziere non è la morale del sacerdote. Un giocatore può spogliare senza generosità un altro giocatore di tutte le sue ricchezze senza perdere il ri– spetto di se stesso e neanche dell'avversario che egli ha spogliato, purché sia rimasto fedele alle regole del gioco. Resta, però, il fatto che nessuno loda il gioco e la speculazione come azioni moralmente legittime e racco– mandabili; il che prova che le regole morali della vita privata hanno rag– giunto una relativa chiarezza e fissità. La morale dei diplomatici, invece, è assai meno chiara e pi~ elastica. Essa si avvicina assai a quella del mer– cante o del giocatore. Il diplomatico e il mercante possono manovrare in modo da obbligare l'altra parte a firmare un trattato o un contratto assai duri, ma se hanno firmato il trattato o il contratto debbono eseguirlo pun– tualmente quali che ne sieno le conseguenze. Il diplomatico, com.e il gio– catore, può condursi in modo da indurre gli altri in errore sulle proprie intenzioni e sulle carte di cui dispone nel gioco, ma non deve barare. Ho detto che la morale del diplomatico "si avvicina" a quella del giocatore e del mercante. Avrei dovuto dire che nel 1914 essa "si avvicinava." In questi ultimi anni essa ha subfto un ribasso considerevole. Nel 1914 Beth– mann Hollweg, dopo avere violato la neutralità del Belgio, prima affermò h d ~ " d' ,, c e non occorreva are troppa importanza a un pezzo 1 carta, ma su- bito dopo si scusò col principio morale che ",necessità non ha legge." 495 Biblioteca Gino Bianco

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