Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte terza Dato, però, il fatto che l'ultimatum austriaco tendeva ad alterare lo statu quo balcanico, e non poteva non essere seguito da occupazioni territo– riali in Serbia, Di San Giuliano dichiarò immediatamente, il 24 luglio, al– l'ambasciatore tedesco, che egli ~ntendeva invocare quella parte dell'art. 7 del trattato, in cui era stabilito che i governi di Vienna e di Roma avevano l'obbligo di accordarsi prima che alcuno di essi procedesse ad una occupazione territoriale, "sia temporanea, sia permanente," "nelle regioni dei Balcani o delle coste ed isole ottomane nell'Adriatico e nel mare Egeo"; l'accordo do– veva essere basato sul principio, che se una fra le due parti ottenesse un van– taggio, "territoriale o di altro genere," l'altra parte doveva ricevere un com– penso soddisfacente. Una dichiarazione ufficiale in questo senso fu presentata a Berchtold dall'ambasciatore italiano, duca di Avarna, il 25 luglio. Di San Giuliano, dunque, distingueva fra l'ultimatum e le operazioi:ii militari; dell'ultimatum rifiutava la responsabilità e le conseguenze; quanto alle operazioni militari, esigeva che nessuna occupazione territoriale avvenis– se, salvo previo accordo col criterio dei compensi. Su questo si discute nel luglio del 1914 fra Roma, Berlino e Vienna: se il governo italiano abbia o no l'obbligo di intervenire nella guerra generale, qualora il conflitto austro-serbo si allarghi, e se abbia o non diritto ad otte– nere d~i compensi. Una protesta italiana contro la violazione del trattato non apparve mai. Per proclamare che l'alleanza era stata violata, l'on. Salandra aspettò il 24 maggio 1915: un vero e proprio discours de l'escalier. 2. La discussione sui compensi Una delle ragioni per cui il 2 luglio, nei primi scambi di idee con Tschir– schky, Berchtold aveva insistito affinché non venissse consultato in precedenza il governo italiano sull'ultimatum, era questa: che Di San Giuliano avrebbe domandato la facoltà di occupare Vallona mentre le truppe austriache avreb– bero occupato la Serbia; a Vienna non volevano saperne di un accordo di questo genere, e quindi era meglio non lasciar tempo a discussioni. A Berlino avevano accettato da principio questo modo di vedere. Ma non appena arrivarono le prime notizie sulla inquietudine del Di San Giu– liano, il cancelliere Bethmann-Hollweg, e il ministro degli esteri Jagow, co– minciarono a sospettare di avere commesso uno sproposito. Il 20 luglio, J f " . 1· " B h Id h' " . agow ece urgentemente cons1g1are ere to pere e cercasse una in- tesa con l'Italia," e propose che "l'attenzione dell'Italia fosse deviata da quanto l'Austria avrebbe compiuto in Serbia, spingendo l'Italia, a titolo di compenso, contro Vallona, anche se al presente non ne avesse la volontà.'~ Berchtold rifiutò su questo punto qualunque transazione. Di compensi all'Italia, non voleva sentire parlare a nessun patto. Aveva fatto una, sco– perta veramente geniale. L'art. 7 della Triplice - diceva - autorizza il go- 398 BibliotecaGino Bianco

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