Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La politica estera dell'Italia dal 1871 al 1915 verno italiano ad esigere compensi per ogni ingrandimento che l'Austria-Un– gheria consegue "nelle regioni dei Balcani o nelle coste ed isole ottomane nel- 1' Adriatico e nel mare Egeo." Queste parole non si applicavano a tutti i territori balcanici, e a quelli appartenenti alla Turchia, e a quelli degli Stati indipendenti dalla Turchia. Si riferivano solamente ai territori ottomani, ed escludevano i territori non ottomani. Dunque, il governo austro-ungarico, occupando qualche parte della Serbia, non avrebbe avuto nessun obbligo ver– so l'Italia. La grossolanità di questo cavillo è manifesta, solo che si ricordino due circostanze: 1) nel trattato speciale italo-tedesco del 1887, che era divenuto poi l'art. 6 della Triplice, Bismarck si era impegnato a prevenire ogni modificazio– ne territoriale "sulle coste ed isole ottomane nel mare Adriatico e nel mare Egeo," ed aveva rifiutato di assumere lo stesso obbligo per "le regioni dei Balcani" perché non voleva divenire solidale col governo di Vienna nel man– tenere contro la Russia lo statu quo in Bulgaria; 2) le "regioni dei Balcani" furono messe nel trattato speciale italo-austriaco, appunto perché con quella formula si intendeva anche la Bulgaria; e, nella crisi del 1887-1888, il gover– no di Vienna ebbe la solidarietà del governo italiano proprio nel resistere alla influenza russa in Bulgaria. La Bulgaria era un territorio non ottomano. Il governo di Berlino avrebbe ben voluto dar ragione a Berchtold. Ma il cavillo sui territori ottomani era cos{ goffo, che rifiutò di farlo proprio, e riconobbe che "sfortunatamente" non era il caso di farne uso. Né sembra che Di San Giuliano abbia avuto mai bisogno di battersi su questo terreno. Berchtold era uomo di molte risorse. Di compensi non era il caso di parlare: perché - diceva, con disinvoltura invidiabile - il governo au– striaco non tendeva a conquiste territoriali. Certamente avrebbe portato le operazioni militari sul territorio serbo, e questa occupazione provvisoria "sa– rebbe stata mantenuta finché la Serbia avesse dato le garanzie richieste, e avesse pagato le spese di mobilitazione e di guerra." Ma questo genere di oc– cupazione provvisoria non creava diritto a compensi. Il guaio era che l'art. 7 creava diritto a compensi anche per il caso di occupazioni provvisorie. Piu ancora, come osservava Tschirschky, creava quel diritto anche nel caso di acquisti "di altro genere," che il governo di Vienna potesse fare: "l'Italia poteva considerare .l'umiliazione della Serbia e l'esten– sione che risulterebbe per l'influenza della monarchia nei Balcani, come un pregiudizio portato ai suoi interessi." Berchtold aveva pronta la risposta anche per questi argomenti. Di San Giuliano aveva sempre dichiarato che "!'_Italia ave;a bisogno di un'Austria forte, come baluardo contro la marea slava": dunque l'Austria, fortificando– si mediante la umiliazione della Serbia, soddisfaceva un bisogno dell'Italia. ~on aveva dunque obbligo di dare compensi. Acquistava piuttosto il diritto d1 essere ringraziata e magari ... compensata. Ad ogni buon conto, prevedendo che questo genere di argomentazioni non era tale da condurre all'accordo, Berchtold ordinò a Merey di dichiara- 399 BibliotecaGino Bianco

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