Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La politica estera dell'Italia dal 1871 al 1915 indipendente, che avrebbe attratto verso di sé tutte le popolazioni slave della Dalmazia, della Croazia, della Slovenia, incorporate nell'impero. E piut– tosto che lasciare ingrandire la Serbia e il Montenegro, il governo austriaco avrebbe alla fine occupato il paese in rivolta. Andrassy - scriveva Visconti-Venosta a Robilant - pensa ad annettere la Bosnia– Erzegovina come penserebbe a farsi curare un dente; ma chi soffre di denti, finisce con l'andare dal dentista, anche contro voglia. Data questa previsione, era naturale che in Italia sorgesse l'idea di mettere a profitto questa occasione per riaprire il problema delle popolazioni italiane, che erano ancora incorporate nell'impero austro-ungarico. I de– mocratici domandavano sui giornali il Trentino e la Venezia Giulia. I partiti di governo non conducevano cos1 lontano i propri desideri; l'acquisto del Tren– tino e una rettifica della frontiera verso Gorizia sarebbero bastati a soddisfa– re le loro speranze. Ma anche in modestissimi limiti, non c'era. possibilità di intesa fra Vienna. e Roma. Perciò Visconti-Venosta continuava nella politica dell'a– spettativa, avendo cura di non rivelare in alcun modo le sue piu profonde spe– ranze: "Ho un'idea in fondo alla mente," scriveva a Robilant, "ma non è il caso di parlarne per ora." Nessuno, però, poteva impedire ai giornali di parlare. I giornali demo– cratici italiani discutevano vivamente quali nuove frontiere l'Italia avrebbe dovuto domandare all'Austria. E i giornali austro-ungarici - ispirati evi– dentemente dal governo di Vienna - replicavano che un problema di fron– tiera italo-austriaca non esisteva, salvo che l'Italia non volesse fare una guerra. La situazione peggiorò durante il 1876. Nel marzo di questo anno, in Italia, la Destra conservatrice fu sbalzata dal governo. Una nuova classe politica, la Sinistra democratica, venne al potere. Il primo ministero di Si– nistra fu presieduto da Agostino Depretis. Era un vecchio uomo di Stato, rotto agli affari, pieno di buon senso e di prudenza, ma reso scettico ed inerte dalla lunga esperienza. della vita pubblica, e piu ancora dalla conoscenza de– gli uomini politici. Quando un problema diventava grave, e gli amici insiste– vano con lui perché lo risolvesse senza riguardo, perché ne andavano di mezzo gli interessi del paese, lui prendeva la pratica, la chiudeva in un cas– setto, ve la lasciava a dormire, e diceva: "Ognuna di queste pratiche do– vevo deciderla entro ventiquattr'ore, se non volevo mandare in rovina l'I– talia; le ventiquattr'ore sono passate; la pratica è sempre H, e l'Italia va avanti lo stesso." Aveva un metodo infallibile per affrontare le tempeste parlamentari. Veniva alla Camera ammalato di gotta, e pregava i suoi gene– rosi avversari di scusarlo se non poteva discutere con il necessario vigore gio– vanile. Non appena otteneva il voto di fiducia, guariva della gotta e cam– minava benissimo. Perciò, quando si ammalava davvero, nessuno ci crede– va, e diceva che era una "malattia politica." Viveva una vita modestissima, 303 BibliotecaGino Bianco

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