Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La politica estera dell'Italia dal 1871 al 1915 giudicato come una pazzia il mettersi male con l'Austria, mentre la vita stessa dell'Italia era minacciata dai clericali, che predominavano in Francia. Senonché, nella guerra del 1866, l'impero austriaco aveva conservato la Venezia Giulia e il Trentino. La popolazione del Trentino era interamente italiana. Nella Venezia Giulia la popolazione era mista di italiani e slavi: i contadini erano quasi tutti slavi; gl'italiani predominavano nelle piu ricche e piu colte classi della città. Nessuno in Italia, neanche nei partiti di go– verno, concepiva la possibilità di lasciare queste regioni per sempre sotto il dominio austriaco. Qui nascevano formidabili difficoltà. In Austria nella questione di ulteriori cessioni di territorio all'Italia, tutti, dall'imperatore al piu umil_esuddito, erano concordi in una sola opinione; e questa opinione era contraria a qualunque domanda dell'Italia. Gli ambienti militari tenevano a vile l'esercito italiano; si dicevano sicuri di batterlo al primo incontro; avrebbero desiderato un'alleanza fra l'Au~tria e la Francia contro l'Italia. Il clero cattolico faceva una vivace propaganda fra i contadini di tutte le na– zionalità dell'Austria per la restituzione del dominio temporale al papa. Il conte Andrassy, ministro degli esteri austro-ungarico a cominciare dal novembre 1871, rifiutava di lasciarsi trascinare dai clericali in avventure pe– ricolose per far piacere al papa, e resisteva energicamente alle correnti anti– italiane. Ma sulla questione della frontiera italo-austriaca, era non meno m– transigente che i clericali, i militari, l'imperatore. La frontiera fra l'Italia e l'Austria-Ungheria - dichiarava Andrassy nel maggio 1874 - è fissata da ora in poi per sempre. L'Austria non può accettare nuovi cambia– menti territoriali, neanche per via di negoziati amichevoli. Si tratta di una questione di principio. Il giorno in cui noi ammettessimo un cambiamento di frontiera per ragioni etnografiche, sorgerebbero subito simili domande da altre parti, e sarebbe quasi impossi– bile rifiutarle. Noi non possiamo dare all'Italia le popolazioni che parlano italiano, senza provocare un movimento centrifugo verso le nazioni sorelle al di là delle frontiere in tutte le altre nazionalità, che vivono alla periferia dell'impero. Era dispostissimo ad assicurare l'Italia che l'Austria non aveva inten– zione di assalirla, e non avrebbe sollevato questioni come quella della situa– zione del papa. In compenso domandava che l'Italia lasciasse mano libera al- 1' Austria nelle questioni balcaniche, e non parlasse mai di rettifiche di fron– tiere austro-italiane. Dal punto di vista austriaco, aveva perfettamente ragione. Ma quelle stesse necessità di vita, che ad uno Stato plurinazionale, come l'impero de– gli Absburgo, impedivano di accettare il principio di nazionalità come una base di riordinamenti territoriali, quelle stesse necessità di vita impedivano al governo italiano di abbandonare lo stesso principio. Lo Stato italiano era nato per forza di fede nel diritto di nazionalità. Su questo diritto solamente, il nuovo governo trovava la sua base di legittimità. Il governo italiano po– teva deplorare, e magari reprimere, come inopportune e pericolose, le ma– nifestazioni piu turbolente del ~entimento nazionale, non poteva ripudiarle, proprio quando era continuamente obbligato ad invocare il diritto di nazio- 301 BibliotecaGino Bianco

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