Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte terza avrebbe voluto trarre Gambetta ad una intesa continentale con la Germania e con la Russia, lasciando da parte l'Inghilterra; Gambetta non voleva sa– perne della Russia. Inoltre nella questione dell'Alsazia e della Lorena si rivelò una impossibilità assoluta di transigere da una parte e dall'altra. Mancato quel programma, Bismarck si buttò definitivamente dalla parte della politica austro-britannica. Andrassy aveva oramai via libera per ini– ziare verso il governo italiano la "maniera forte." E la buona occasione per fare a Roma l'" ammonizione," di cui Bismarck parlava già nel febbraio, si offriva nella dimostrazione irredentista di Porta San Pancrazio e in una discussione, che fin dal 3 maggio era preannunziata pel 6 maggio alla Camera dei deputati italiana sulla politica interna del Ministero Cairoli. 15 In questa discussione i diplomatici di Vienna e di Berlino potevano ottenere che Cai– roli e i suoi colleghi facessero qualche dichiarazione decisiva nelle risposte che avrebbero dato agli interpellanti. Un indizio a sostegno di questa ipotesi l'abbiamo nel fatto che il 7 maggio, anche a Londra, l'ambasciatore tedesco faceva a Menabrea una "ammonizione" analoga a quella, che Haymerle e Keudell avevano fatto nei giorni precedenti in Roma a Corti: Menabrea era fra gli ambasciatori italiani il solo che continuasse a "déblatérer à tort et à travers" sul Trentind 6 ; e Bismarck faceva sermoneggiare anche lui. Zanardelli e Cairoli risposero il 6 maggio alle interpellanze togliendo importanza al Congresso repubblicano, "passato inosservato e senza eco"; nella passeggiata del 30 aprile ci era stata certo qualche intemperanza "meritevole di biasimo," ma non era possibile nelle pubbliche riunioni evi– tare "eccentricità individuali, che passavano inavvertite," o qualche "grido che casca nel ridicolo"; incidenti di tal genere non potevano creare difficoltà con le Potenze estere: a queste non poteva essere ignoto che la legislazione italiana ammetteva la piu ampia libertà e non permetteva al governo di vietare la manifestazione di idee, anche contrarie allo stesso governo, anche contrarie alla monarchia, finché non intervenisse un tentativo delittuoso di attua– zione concreta. Robilant non era convinto d_iquesta teoria: "Simili frasi," scriveva a Corti il 12 maggio, "non hanno corso presso i Gabin~tti." Per fortuna, proprio in quei giorni, i clericali austriaci facevano una vivacissima campa– gna antiitaliana. Parlando a Praga in una riunione pubblica, un personaggio assai autorevole, nientemeno S. E. il conte Enrico Thun, imperial regio consigliere intimo, già ministro presso le corti di Berlino e di Pietroburgo, presidente della Società di San Michele, arrivava a dire che il governo ita– liano viveva di' rapina e di assassinio, e il commissario di polizia lo lasciava dire. Robilant ritagliò religiosamente dalla Presse di Vienna la notizia, e la inviò a Roma, raccomandando a Corti di sfruttarla a dovere nelle discus– sioni con Haymerle. 252 15 CAMERA DEI DEPUTATI, Discussioni, XIII Legislatura, 2a sessione (1878), pp. 662-63. 16 Corti a Robilant, 18 maggio 1878. BibliotecaGino Bianco

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