Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

La politica estera dell'Italia dal 1871 al 1915 ·oranza era inevitabile che quelle manifestazioni acquistassero una maggi ' · · l' · · · f R v· speciale importanza, e mmaccia 1 ssero am1c1z1~ ra orna e 11 1en 1 na. l . . Da un angolo morto ana ogo erano uscite appena a ora e re az1om . lo-francesi. Come Thiers e Mac Mahon pretendevano negli anni passati ~~e il governo italiano si _acquietasse alle lor? dichiarazi·o~i .pacifi~he, non reoccupandosi se le maggioranze parlamentari fossero clen_cah ed 1talofobe, ~a gl'italiani non si lasciavano convincere dalle dichiarazioni ufficiali, e tene– vano fisso lo sguardo con sospetto a ciò che si muoveva dietro le spalle dei governanti; cosi'.Tornielli pretendeva ora che i diplomatici di Vienna, assi– curati dalle dichiarazioni amichevoli del governo italiano, non dessero im– portanza alle manifestazioni irredentiste od austrofobe, a cui si abbando– navano tanti amici del Ministero; e viceversa l'imperatore Francesco Giuseppe ed Andrassy vedevano in quelle manifestazioni, né impedite né mai esplicitamente sconfessate, un sintomo minaccioso, che vuotava di ogni significato l'amicizia italiana. Del resto le dimostrazioni irredentiste non erano la causa unica né la piu profonda delle inquietudini austriache. Anche senza di esse; Andrassy sarebbe stato malcontento dell'attitudine italiana. Infatti, il 2 luglio 1876, la Serbia e il Montenegro entravano in guerra contro la Turchia. L'8 luglio, l'imperatore Francesco Giuseppe e lo czar Alessandro si incontravano a Reichstadt, accompagnati dai loro ministri degli esteri, e qui convenivano verbalmente che il governo di Vienna sarebbe rimasto neutrale in caso di guerra fra ta Russia e la Turchia; in compenso della neutralità, il governo russo gli riconosceva la facoltà di occupare la Bosnia e l'Erzegovina. 17 Il governo di Vienna, dunque, abbandonava il programma dello statu quo balcanico. Invece il governo italiano continuava sempre ad offrire la sua amicizia cordiale, purché rimanesse intatto lo statu quo. In siffatta insi– stenza, Andrassy non poteva non vedere un'intenzione ostile, che si sarebbe rivelata al momento, in cui gli accordi di Reichstadt dovessero realizzarsì. Per vincere quella ostilità, ben sapeva quel che gli occorresse fare: concedere qualcosa al governo italiano verso le Alpi. Ma questo qualcosa, né l'imperatore, né lui, né altri, in Austria o in Ungheria, era disposto ad abbandonarlo. Perciò Andrassy non sapeva che farsene di una amicizia, che gli era offerta a condizi.oni, che egli reputava inaccettabili. Le rimostranze, che egli faceva per le manifestazioni irredentiste, andavano al di là di queste: egli voleva che il governo di Roma spiegasse nettamente le sue intenzioni e si impegnasse a rion sollevare la questione delle frontiere, anche pel caso che venisse meno lo statu quo. Le dimostra– zioni irredentiste erano una òccasione, di cui egli si serviva per trascinare Robilant ad una spiegazione definitiva. Alla sua volta Robilant negava che il governo italiano fosse connivente E t 17 QWERTHEIMER, Graf Julius Andrassy, II, pp. 320 sgg.; GAuLD, Dreikaiserbundnis and the as ern uestion, pp. 213-14. 205 BibliotecaGino Bianco

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