Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte seconda l'uomo - io non sono di quelli, dei quali la parola nasconda il pensiero, o che rifug– gano dal parlare per mancanza di coraggio... Io non sono mai stato, io non sono, io non saprei essere il nemico della Francia. Ministro, io non avrei mai permesso che l'Italia attaccasse la Francia. Semplice cittadino, seguirò la stessa politica. Noi ci difenderemo, se occorre, se saremo attaccati. Ora, che ci si voglia attaccare, è cosa dimostrata: - dagli ar– mamenti, che si accumulano, sino alla esagerazione, alle nostre frontiere: - dall'atti– tudine ostile della grande maggioranza dei vostri uomini politici, della quasi totalità dei giornali, di cui non uno, quasi, mostra amicizia per noi; - dai pregiudizi popolari, radicati contro gl'italiani, per opera di una stampa perfida; - dalla guerra accanita, che vi com– piacete di fare alla nostra rendita, non so bene con quale profitto; - dalla denigrazione si– stematica della nostra produzione e del nostro lavoro; - dagli insulti, dalle calunnie, dalle menzogne, che si versano ogni giorno contro il governo italiano. Io noh sono piu il ministro di re Umberto. Io sono libero di me, senza alcuna speranza di essere amato dai vostri concittadini, senza avere neanche il desiderio di conquistare il loro amore. Io par– lo con la mia franchezza abituale, al solo scopo di trovare il mezzo di prevenire ogni con– 'fiitto fra i due paesi. D'altronde io lo domando a me stesso: perché faremmo noi la guerra alla Francia? La guerra è un duello a morte, del quale è incerto il vincitore. Noi non siamo pazzi, per mettere in pericolo la nostra esistenza nazionale. Aggiungete che noi non abbiamo alcun interesse a che la Francia sia diminuita o distrutta. L'esistenza del vostro paese è necessaria all'equilibrio europeo. Gli è per questi motivi che in una delle mie lettere vi pregavo di adoperarvi, voi e i vostri amici, a ricondurre la calma negli spiriti, a richiamare i cuori a sentimenti equi, a ristabilre l'antica armonia fra i due popoli e i due governi. Soltanto uomini come voi, intelligenti, immuni dalla febbre del potere, possono farlo. I vostri ministri non possono: essi non hanno alcuna autorità sulle masse, che non osano contrariare per tema di perdere la loro popolarità. 25 E non si rendeva conto, che mettendosi - lui, antico e forse prossimo presidente del Consiglio - a disputare coi giornali, ad accusare pubblica– mente la Francia di voler aggredire l'Italia, a dichiarare in blocco tutti gli uomini di governo della Francia incapaci per ambizione e inintelligenza di resistere agli impulsi delle masse, non si rendeva conto che, lungi dal "pre– venire ogni conflitto fra i due paesi," re!}deva impossibile il ritorno alla ca-I– ma, impediva ogni armonia fra i due governi. E si compiaceva della sua franchezza e del suo coraggio, quasi che l'uomo di Stato, non abbia il do– vere d'essere prudente e calmo, oltreché franco e coraggioso! 3. Crùpi e la questione romana Per comprendere l'uomo in tutte le sue preoccupazioni e squilibri e impulsività, basta osservarne gli atteggiamenti nella questione romana. Trent'anni or sono, il dissidio fra l'Italia e il Vaticano rappresentava per l'Italia, nella politica estera e interna, una passività, senza dubbio, assai grave. 'E finché questo dissidio non sia composto - dato e-non concesso che sia possibile çomporlo - o finché la influenza politica del pontificato in Ita– lia e nel m'.ondo non sia annullata, avverrà sempre che qualunque governo, per qualunque motivo, si trovi in urto col governo italiano, cercherà di uti- 25 CRISPI, Ultimi scritti, pp. 382-83. 114 BibliotecaGino Bianco

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