Giuseppe Mazzini - Dubbio e fede

6 Ma in quelli ultimi mesi, io m'era agguerrito al dolore e fatto davvero tetragono, come dice Dante, ai colpi della fortuna che m'aspettavano. Non ho mai potuto, per non so quale capriccio della mia mente, ricordare le date di fatti anche gravi, spettanti alla mia vita individuale. Ma s'anch'io fossi condannato a vivere secoli, non dimenticherei mai il finir di quell'anno e la tempesta per entro i vortici della quale fu presso a sommergersi l'anima mia. E ne accenno qui riluttante, pensando ai molti che dovranno patire quel ch'io patii e ai quali la voce d'un fratello escito -battuto a sangue, ma ritemprato -dalla burrasca, può forse additare la via di salute. Fu la tempesta del Dubbio: tempesta inevitabile credo, una volta almeno nella vita d'ognuno, che, votandosi a una grande impresa, serbi core e anima amante e palpiti d'uomo, nè s'intristisca a nuda e arida formola della mente, come Robespierre. Io avevo l'anima traboccante e assetata d'affetti e giovine e capace di gioia come ai giorni confortati dal sorriso materno e fervida di speranze se non per me, per altrui. Ma in quei mesi fatali mi s'addensarono intorno a turbine sciagure, delusioni, disinganni amarissimi, tanto ch'io intravvidi in un subito nella scarna sua nudità la vecchiaia dell'anima solitaria e il mondo deserto d'ogni conforto nella battaglia per me. Non era solamente la rovina, per un tempo indefinito, d'ogni speranza italiana, la dispersione dei nostri migliori, la persecuzione che disfacendo il lavoro svizzero ci toglieva anche quel punto vicino ali'Italia, l'esaurimento dei mezzi materiali, l'accumuland d'ogni maniera di difficoltà pressochè insormontabili tra il lavoro iniziato e me; ma il disgregarsi di quell'edifizio

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