Volontà - anno XX - n.8-9 - agosto-settembre 1967

SCHOPENHAUER E NOI ILCAPOLAVORO DELL'EGOISMO COLLETT U N DIFETTO frequente nel colloquio umano è l'astrusità, a volte intenzionale nelle sibille e nei profeti, a volte, involontaria per abitudine acquisita, altre volte indispensabile per forza maggiore come nel caso di quel medico specialista che, dovendo pur dire qualcosa a chi doveva pur pagarlo, disse soltanto che la strana malattia era criptogene– tica, di origine ignota. Si può anche perdonare l'astrusità quando è di ogni tanto e non fa rnale allo studioso impegnarsi nella lettura, ma è imperdonabile quella sibillinità in problemi pratici, reali, a portata di mano come quelli politi– ci, e imperdonabile soprattutto per Arturo Schopenhauer che non si peritava di ridicolizzare i suoi nemici. Tra questi aveva di mira Fichte, Shelling ed Hegel, 1< 1tre ciarlatani>, e principalmente Hegel col suo Sta– to etico, e moralità autocosciente)), e che non era altro, per Schope– nhauer, che e l'apoteosi del flltsteismo >, bigottismo politico (Parerga e ParaliPomena, ed. Boringhieri, pp. 898-928). Non c'è bisogno di fare sfoggio della retorica politica, cara al nazio– nalismo. Lo Stato, per il filosofo del pessimismo, è molto semplice nella sua origine e nelle sue mansioni: esso è originato dalla condizione e ini– qua> dell'uomo e deve proporsi la difesa contro i nemici esterni ed in– terni. L'uomo dà vita allo Stato perchè trova meno utile il far danno che il riceverlo, si priva del suo potere naturale e ne arricchisce Io Stato in cartbio della sicurezza personale. L'uomo è sempre egoista, sia nello st~– to di natura, sia nel passaggio allo stato sociale, ma il secondo egoismo - caso strano - gli dà pace e sicurezza, e a lui e agli altri la gloria di aver creato un capolavoro, lo Stato. Questo è il capolavoro per Schopenhauer - tu che credevi?! -, Io Stato, capolavoro di egoismo collettivo. Abolita questa condizione iniqua, st potrebbe eventualmente lasciare lo Stato quale associazione di protezione contro gli animali soltanto. La conseguenza è ovvia: se l'uomo resta iniquo, lo Stato resta; se l'uomo si tarà vero uomo, dovrà eliminare lo Stato, anche se lascia o crea un mi– nistero contro la fauna. Invece l'Adamo politico, per Schopenhauer, aspetta invano un re– dentore, l'uomo resta iniquo e non si garantisce il proprio se non con la rorza, non forza pura e semplice, ma superiore a quella di un eventuale nemico, aggressore. Per Schopenhauer vi furono animali che mangiavano erbe, poi si fecero notare altri animali in cerca di prede; gli uomini una volta vive– vano di lavoro e il frutto di questo lavoro grondava sudore, poi sorsero 469

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