Volontà - anno XX - n.4 - aprile 1967

la loro caric::i di suggerimenti, ma non sa:·à rr>ai indispensabile. Tuttavia, cono– sco abbastanza bene il Ragonesi per af– fermare che egli aspira alle mie stesse finalità di benessere sociale, per cui, a proposito di ~comunit.l», tra noi due, non c·~ contrasto. ma come dicevo, compli– mentarietà. f conct:tti e i tipi di comunità «partico– lari» hanno ragioni specifiche nelle quali si esauriscono. I primi sono costruzioni ideali di filosofi, i secondi rispondono ad un insieme di modi e limiti resi. in un certo st·nso, necessari da circostanze di costume e di fatto. Ed anche i conceui sono, per Qualche , 1 erso, dei prodotti ambient&li, almeno nella misura in cui i loro ideatori non sono riusciti a svinco– larsi dai cai-atteri del loro tempo. Ma comunit.l ha un significato tematico-essen– ziale che· preesiste e che prescinde da quelli restrittivi o «particolari• che Je sono stati auribuiti durante millenni di civiltà. Comunità e certamente tutto ciò che un gruppo d'individui hanno o at– tuano «in comune». Essa si ritrova allo stato zoologico e, al livello umano, com• prende ogni forma di socicta. lr1fatti, senza nulla in comune nessuna società sarebbe possibile. L'equivoco d1 una comunità distinta dal contesi~ politico-economico del luogo, sep• pure inserita nello stesso (come un'isola nel mare). dipende dal fatto che detta co• munità attua forme di relazione diverse da Quelle esterne, o più spesso realizza una comunione di interessi e di affetti notevolmente maggiore dell'esterno. D'al– tro canto, la società (statale, per inten– derci) non dà la sensazione di una comu• nità, perchè i suoi rapporti interni sono ispirati alla concorrenza (cioè al conflit• to) piuttosto che alla collaborazione e sono «mediati» da organi giuridici (che fonno capo allo StalO), a loro volta par- tigiani d"interessi privati e particolari, in– <;omma perchè è una comunità assoluta– m1::ntc imperfetta. La comunità, al con– trario, è la società perfetta, della Quak, però, la storia, che io sappia, non ci for– nisce alcun esempio. Se la civiltà è nata dallo svegliarsi dcl!'uomo alla coscienza di sé, la storia trova spiegazione nell'ineluttabilità di a– vere qualcosa in comune con i propri simili, si traiti pure ciel solo «spazio vi– i.ile•. Pertanto, ogni forma di civiltà è caratterizzata da un certo tasso di co– munità. L'uomo è un individuo sociale, simile ad una pianta, che può sviluppare i propri caratteri (indivicl11ali) solo a condizione di restare «piantata• nell'am– biente della specie. Un individualismo as~ soluto è un assurdo biologico. La comu– nità è l'ambiente naturale della persona umana Le comunità, di cui fin'oggi si ha notizi<1, sono state o sono delle «isole umane»: circoli chiusi fini a se stessi (come, per es., i monasteri, le abbazie e in gener~ i cenobi religiosi) o degli inne– sti sperimentali e pioneristici (come le comuni1:t agricole che gli anarchici rea– lizzarono in Ispagna nel 1936o quelle che il movimento per l'appunto Comunità ha sperimentato nel Cavancse). La comunità vuole essere una formula risolutivn degli imprescindibili interessi ed affetii comuni ad un gruppo o all'in– tera l1manità. Inizialmente, essa si è ispi– rata a motivi più o meno mistici (se non magici, come in alcune tribù) e co– munQll'-! aprioristici, e le «soluzioni" poli– tiche diciamo tradizionali altro non sono che pseudo-soluzioni dcll'«ineluttabilità del comune», cioè formule di vita socia– le «viziate» o da errate visioni della real– tà o dalla prepotenza di gruppi (lcgisla• tori, re, ministri, presidenti, ecc.) che vogliono restare al di sopra della comu• nità per dominarla, strumentalizzarla, as- 255

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